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GLOCAL FILM FESTIVAL 20 - "Passato e futuro dei cinema"


Bruno Ugioli e Stefano D'Antuono sono i registi del documentario "Manuale di storie dei cinema"


GLOCAL FILM FESTIVAL 20 -
Ad aprire la ventesima edizione del Glocal Film Festival di Torino è "Manuale di storie dei cinema" di Bruno Ugioli e Stefano D'Antuono, versione lunga di un progetto nato due anni fa come cortometraggio nell'ambito di Torino Factory.

Perché avete scelto di raccontare le storie dei cinema torinesi?

La voglia di raccontare le sale è nata per il tempo che ci abbiamo passato dentro! Ci siamo conosciuti all'Università ma poi è stato il cinema a cementare la nostra amicizia, prima ancora che nel 2016 iniziassimo a lavorare insieme ai primi cortometraggi.
Ogni volta che uscivamo da un film, ci chiedevamo se la realtà torinese dei cinema d'essai in centro sarebbe sopravvissuta, come sarebbe stato il futuro... Era fine 2018, il bando di Torino Factory lo abbiamo scoperto in quel momento e ci ha dato la spinta decisiva.
Ci siamo messi a studiare e capire questo mondo, abbiamo provato a dare una risposta noi alla domanda "Il cinema sta morendo?". In un'altra città forse avremmo fatto altri ragionamenti, ma a Torino ci sono casi virtuosi come la figura di Lorenzo Ventavoli, più unica che rara, la tragica storia del cinema Statuto, la grandiosa epopea del muto... tutti argomenti che si sono messi in fila quasi da soli per strutturare il documentario.
Se nella prima parte Torino e le sue sale sono centrali, poi la discussione si allarga e la riflessione diventa nazionale e mondiale: che futuro ha la sala e l'esperienza cinematografica nell'epoca dello streaming e della realtà virtuale?

Come avete scelto i tanti personaggi che intervistate nel documentario?

Siamo partiti dalle sale, volendo raccontare le loro storie. Gli esercenti torinesi volevamo intervistarli tutti, poi qualcuno non era disponibile: solo loro possono raccontare al meglio la storia della sala che gestiscono, ognuna tra l'altro diversa e con le sue specificità.
Alcune interviste non ci sono riuscite, come quella con il mondo dei multiplex e con esponenti delle piattaforme.
Poi cercavamo varietà di approccio: volevamo un critico (che parlasse meno di sale e più di film, e abbiamo scelto Paolo Mereghetti) e uno storico (Sergio Toffetti, allora presidente del Museo del cinema, era perfetto). Poi c'è David Bordwell, che ha allargato lo sguardo a livello internazionale, e molti altri.
Lo ammettiamo, il nostro desiderio era chiacchierare con tutti! Abbiamo aggiunto alla lista anche alcuni tecnici, alcuni registi (tra cui Carlo Ausino, vera memoria storica), e altre voci per avere un approccio meno storico e più sociologico.

Sul futuro delle sale che risposta vi date?

Se la sala ha resistito a 120 anni di storia, in cui ciclicamente dal 1913 si dice che è una realtà in crisi, vuol dire che ha caratteristiche adattabili, che trova la sua nicchia sempre e solo così è riuscita a diffondersi in tutto il mondo.
La sala risponde ad alcune necessità molto importanti per le persone, quelle di fruizione artistica e di socialità: pensiamo che la gente a emergenza finita ne avrà ancora più voglia. I dati cinesi in questo sembrano darci ragione, anche se il mercato è molto diverso: neanche loro però si aspettavano di fare subito record storici di spettatori!
Non dimentichiamo però che è importante ci siano tante sale e proposte diverse, non va bene ogni cosa: lo sbigliettamento conta, ma le istituzioni devono difendere il cinema più autoriale.
Resistere a questa chiusura è il punto di partenza, poi il pubblico ci sarà: nel documentario Lorenzo Ventavoli racconta un periodo storico in cui i film di Bergman riempivano le sale, cerchiamo di andare in quella direzione!

Ne avete realizzato una versione da 3 minuti per partecipare a Torino Factory, lì ne avete fatto una versione da 20 minuti e ora il progetto è arrivato a 96: il percorso è concluso?

Potremmo fare un reboot tra 10 anni e vedere se le risposte che abbiamo immaginato erano giuste... No, è troppo presto per dirlo, anche se sarebbe bello.
Di certo di tutto il materiale che abbiamo ci chiediamo cosa farne: abbiamo circa 40 ore di interviste, hard disk su hard disk di roba, anche difficile da gestire. Vedremo la risposta del pubblico, ma vorremmo ampliare il concetto di Manuale e puntiamo a proiezioni per gli studenti: la fascia 12-20 anni è quella più disaffezionata al cinema, potrebbe essere interessante metterli di fronte all'argomento.
E ci piacerebbe magari avviare un percorso con l'Università di Torino per affidare a loro il prezioso materiale registrato: di conversazioni di 3 ore con esperti abbiamo tenuto al massimo dieci minuti, ma ci sono parti importanti per chi studia cinema.

Che futuro invece per "Manuale di Storie dei Cinema"?

Dopo il Glocal speriamo di uscire in sala, stiamo prendendo accordi con distribuzioni, esercenti, festival: noi siamo pronti anche subito, appena si potrà andare in sala potrebbe esserci uno spazio libero da grandi titoli e blockbuster, per produzioni piccole e indipendenti come la nostra potrebbero crearsi presupposti interessanti.

Gabriele Bocchio, lei è presenza trainante nel racconto...

Gabriele Bocchio - Sono entrato nel progetto quando era già pronto, l'ho trovato immediatamente interessante come gli altri loro progetti. Collaboro con Bruno e Stefano da tempo e ho sempre apprezzato il loro approccio al cinema, la loro intelligenza e ironia.
L'idea di poter essere un personaggio che si sviluppa nei secoli era interessante, è stato molto bello interpretarlo: tra l'altro, curiosamente nelle 3 versioni del documentario io ci sono sempre ma ho interpretato 3 ruoli diversi! E alla fine di questa versione lunga, sono io a parlare e porre le domande come spettatore "tipo".

10/03/2021, 19:17

Carlo Griseri