Note di regia di "Schianti"
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Gli alberi si sono sacrificati per noi” disse con gravità lo Scario della Regola Feudale, mentre riponeva la mappa su cui mi aveva appena mostrato l’entità del disastro. Un’intera foresta distrutta, milioni di tronchi spezzati dalla forza del vento, migliaia di ettari di bosco rasi al suolo. Ma nessun morto. È stato il quel momento che ho capito quale sarebbe stato il senso ultimo di Schianti. La mia famiglia è originaria della Val Di Fiemme, quando qualche anno fa ormai lessi sui giornali della tempesta Vaia subito in me nacque l’urgenza, la necessità di raccontare quello che era successo. Ricordo benissimo quando la prima volta andai a visitare il teatro del disastro. Gli alberi abbattuti, gli schianti, si perdevano all’orizzonte, come un grande, terribile Shanghai. Erano immagini di una potenza immediata. Sono sempre stato affascinato dal rapporto che intercorre tra l’uomo e l’ambiente che questo abita: l’uomo ha un impatto sull’ambiente che lo circonda, ma allo stesso tempo anche l’ambiente ha un impatto sull’uomo, ne plasma le caratteristiche, l’attitudine, lo spirito. Quando in una notte i boschi della Val Di Fiemme sono stati rasi al suolo dalla forza del vento, la natura di quel rapporto è improvvisamente venuta alla luce in tutta la sua forza. Il vuoto che il bosco aveva lasciato dentro al cuore degli abitanti di quella valle, era angosciante, come se avessero perso un amico, un parente stretto. Ricordo che, parlando con loro, provavo un forte senso di compassione, ma anche un profondo orgoglio: erano un popolo che era riuscito a costruire una relazione autentica con la natura, vera, costruttiva per entrambi.
Al bosco tutti quegli uomini avevano dato qualcosa: chi l’aveva cresciuto, chi l’aveva rispettato, che l’aveva ascoltato e conosciuto. E dal bosco, tutti avevano ricevuto qualcosa: legno, ombra, un riparo, pace. E in una notte, avevano perso tutto. Voglio pensare che è da quel vuoto che hanno avuto origine le parole “si sono sacrificati per noi”, come estremo tentativo di dare un senso a quella distruzione altrimenti inspiegabile. Una sorta di ultimo lascito della foresta, di ultimo gesto d’amore verso quegli uomini che l’avevano sempre rispettata, cresciuta, curata. Si dice che ci rendiamo conto di quanto una cosa è importante per noi solo quando la perdiamo. È quello che ho cercato di fare con Schianti, raccontare un bosco che non c’è più. È stato uno shooting intenso ed emozionante, di quelli che mentre vivi senti che ti porterai nel cuore per sempre. In quel bianco e nero che abbiamo scelto per concentrarci sugli uomini più che sui paesaggi, ancor oggi mi perdo, sopraffatto dai ricordi. Nel volto di Silvano, Elsa, Cristina, Vitale e le zie Lucia e Ginetta, che continuano ad affacciarsi alla loro finestra, aspettando che il bosco rinasca. Mi hanno detto che ieri, lievi, sono spuntate le prime foglie.
Tobia Passigato