Note di regia di "Genitori vs Influencer"
Dopo “Nove Lune e mezza” e “Brave ragazze”, nati da un lungo lavoro di riflessione, spesso divertita, sulla condizione femminile nel nostro paese, sui temi della maternità e della realizzazione personale, ho sentito il desiderio di dedicare attenzione all’altro da me, attraverso la lente dell’umorismo, mia costante non variabile, fino ad oggi. E così ho iniziato a cercare nuove possibilità di racconto su più ampie dinamiche familiari, tema presente nei miei lavori, ma ancora non affrontato come centrale. Ero appunto in fase di scrittura - di un altro progetto - quando Fabio Bonifacci mi ha sottoposto il soggetto “Genitori vs influencer”, una storia incentrata sulla relazione padre-figlia che ho subito amato. Il protagonista della storia è Paolo, un professore di filosofia, vedovo e poco avvezzo alla modernità, forse perché ha trascorso i suoi ultimi 14 anni a crescere da solo una figlia, Simone “come la De Beauvoire”: ragazzina speciale, in gamba, studiosa, classica rappresentante della Generazione Zeta nella quale tutti noi quasi in pensione riponiamo molta fiducia. Padre e figlia, dopo essere letteralmente cresciuti insieme in una relazione simbiotica, circondati dall’affetto dei vicini di casa - “il condominio”, una specie di grande famiglia - affrontano la loro prima crisi, naturalmente necessaria, innescata dal rapporto via via sempre più morboso di Simone con i social network, che invece Paolo detesta. Simone, come ogni ragazzina della sua età che si affaccia all’adolescenza, si appassiona infatti ai social, scatenando in Paolo una reazione tale che lo porta a dichiarare guerra, non solo al web, ma anche alle sue superstar: gli influencer che Simone tanto ammira. Peccato che, a causa di Simone che lo filma di nascosto, lo sfogo di Paolo finisca on line e diventi virale, provocando a sua volta la reazione sulfurea degli influencer, capeggiati dalla truce Ele-O-Nora. La guerra mediatica trasforma Paolo, suo malgrado, in una celebrità che piano piano viene sedotta dal fascino della popolarità e della vita facile... che tuttavia porteranno il professore a riaprirsi alla vita e alle sue infinite possibilità, compreso l’amore. Al netto del mondo virtuale che, tematicamente, è il terreno moderno su cui si gioca la partita tra Paolo e Simone, il cuore del film è lo scontro eterno, biologicamente inevitabile, 5 tra una figlia che cresce e un genitore che invecchia, la storia universale di quel sentimento doloroso che è l’inesorabile distacco dal cordone ombelicale, mai facile, soprattutto per un genitore single che non ha altro scopo nella vita. È questo distacco a definire il film, più che un family, una commedia romantica su un grande amore non troppo raccontato: quello tra un padre una figlia che, qui, non hanno altro che loro stessi. È la storia contemporanea di ogni famiglia in cui l’adolescente di casa viene rapito dallo smartphone e non smette mai di sollevare gli occhi dallo schermo, trasformandosi in uno sconosciuto agli occhi dei suoi impotenti genitori. Ecco, per me, il film sono gli occhi di Paolo che guardano sua figlia cambiare. E grazie a un gruppo divertente di comprimari brillanti, che permette al film di assumere i toni della commedia senza forzature, l’intenzione è raccontare la vicenda di Paolo e Simone nel modo più naturale possibile, riconducibile a quel tacito copione che ogni genitore quotidianamente scrive e conosce. Vorrei accompagnarli passo passo, stando vicino ai loro occhi, ai loro sentimenti, alle loro parole, nate anche dall’esperienza personale di uno sceneggiatore - Bonifacci - che nella vita è padre affannato di ben due adolescenti. Due i mondi da disegnare: quello adulto di Paolo, legato al (suo) passato, e quello teen di Simone, semplice, come tutti quelli della sua generazione. Due mondi a confronto: uno più classico, anche nel commento musicale, l’altro più fluido e informale, più mosso nello stile. Tre gli ambienti principali: la casa e il suo condominio - a tutti gli effetti un protagonista, la scuola e il mondo virtuale, il web. Riguardo a quest’ultimo, l’idea è quella di descriverlo come parte del mondo reale, anche per evitare la costante inquadratura dei devices con cui il cinema contemporaneo è costretto a confrontarsi. La realtà virtuale sarà perciò una porzione di inquadratura, un riquadro al centro dell’immagine, del formato di uno smartphone, una sezione di schermo tratteggiata, aumentata, colorata; corredata insomma di tutti gli elementi che caratterizzano i social: filtri, tag, gif, musiche (es. Paolo esce per dirigersi ad un evento, Simone lo inquadra: a quel punto vediamo la soggettiva di Simone, all’interno della quale un’area tratteggiata segue Paolo, più colorata del resto, corredata di tag). E anche la presenza di un personaggio che si palesa su un social network sotto forma di video, commento o emoticon sarà visibile in presenza all’interno della scena (es. Simone guarda Ele-O-Nora che posta un video da casa e l’influencer si materializza fisicamente davanti alla teenager, nella sua stanza). Una soluzione stilistica per una fruizione immediata: integrare il mondo virtuale nel mondo reale, dal momento che ormai la sua ingombrante presenza nelle nostre vite ha lo stesso peso della realtà.
Michela Andreozzi