Note di regia di "Non mi uccidere"
Non mi uccidere è il mio secondo lungometraggio e un nuovo capitolo del mio percorso sull’adolescenza rivolto agli adolescenti stessi. È un thriller romantico con una forte componente soprannaturale, non un film realistico e nemmeno un fantasy. Qui il tema dell’amarsi fino a morirne gioca un ruolo metaforico, per raccontare un momento cruciale di ogni esistenza: il passaggio all’età adulta e il suo carico di rabbia e di disillusione. Mirta muore per una promessa d’amore. Il suo coming of age passa attraverso la morte della vecchia sé e la resurrezione di una nuova sé, attraverso la scoperta di una ferocia predatoria che la porta distruggere e a divorare il passato, e attraverso l’apprendimento delle regole basilari della propria sopravvivenza: come nutrirsi, come evitare la minaccia della decomposizione e dei Benandanti, come trasformarsi in un’adulta che aggredisce la vita, senza essere più aggredita a sua volta.
Mirta deve imparare ad essere Luna, deve imparare faticosamente ad essere adulta. Questo è il fascino del suo personaggio, che è una metafora del percorso di tutti gli adolescenti: scopre di essere diversa, si sente un “mostro” al cospetto dei “normali” e deve imparare a gestire la sua diversità, combattendo anche contro la paura di essere sola. Non mi uccidere è un film a forte connotazione femminile. La protagonista è una donna che deve affrontare la vita e i maschi prevaricatori, fino a “sbranarli”, metaforicamente e realmente. L’ambientazione e la distinzione netta tra la notte e il giorno giocano un ruolo chiave nello sviluppo psicologico di Mirta. Il bosco, le strade e i piccoli centri abitati, filmati con la morbida luce primaverile, sono lo scenario dei ricordi di Mirta, della sua vita “da viva”. La dimensione della memoria è impregnata da un’atmosfera illusoria e idilliaca, che vuole potenziare le emozioni e il conflitto, creando una suggestione vicina a quella delle favole. La notte, la periferia, la pioggia, il cimitero nel bosco ci portano invece nella vita di Mirta “da morta”, nella dimensione della paura e della violenza, scandita da luci fredde e stroboscopiche, dallo sporco e dal sangue, che raccontano la nuova Mirta, quella che lei stessa dovrà accettare lungo il suo percorso.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Chiara Palazzolo, che quasi vent’anni fa ha creato una saga molto amata e seguita, anticipando alcune intuizioni che sono poi emerse nell’universo neo-gothic anglosassone. Ma quello che distingue Non mi uccidere è il suo essere una storia che non scende a compromessi: qui la protagonista/eroina è anche il mostro e, in questo mondo dalle tinte thriller/giallo, noi ci appassioniamo ai sui conflitti, ma ci chiediamo anche chi possa essere la sua prossima vittima. Scrive la stessa Chiara Palazzolo: "Io ho immaginato un non-horror mentre scrivevo. Cioè, impostate le premesse “soprannaturali”, il resto è assolutamente realistico. E realistici sono i sentimenti. Quello che mi sono chiesta è stato: che cosa si prova davvero a tornare sulla terra da morti? Non mi interessava per niente una risposta “di genere”, ma una risposta esistenziale. Ho lasciato che questa ipotesi si incarnasse nei personaggi, e loro mi hanno fornito delle risposte. Senso di onnipotenza, per alcuni, persino senso di responsabilità per altri, ma anche infinita angoscia. E tra questi Mirta-Luna. Questa ragazza angosciata è quanto di più realistico possa esistere. Non riesco neanche a considerarla un personaggio. Mirta è un grido di aiuto." Anche nella trasposizione cinematografica è valsa questa regola. Nonostante il carattere soprannaturale dell’assunto di fondo, ci caliamo in una dimensione realistica, in un mondo che ha le proprie regole e che ci fa sospettare che i Sopramorti siano dei ragazzi che vivono le nostre città e non in un mondo fittizio. Perché ci sono altri Sopramorti come Mirta nascosti in tutto il mondo: alcuni idealisti, che morirebbero per amore, proprio come lei, ma anche altri, assetati di anarchia e di sangue. Perché questo, in fondo, è un mondo ancora tutto da scoprire…
Con un’idea di cinema che si propone di superare i drammi realistici e la commedia, Non mi uccidere vuole essere un film di genere, ma allo stesso tempo un film profondamente esistenziale, capace di portare le nuove generazioni ad immedesimarsi in una storia immaginata nel loro paese, e non ambientata all’estero, come di consueto. Vorrei che questo film fosse anche un’occasione per resuscitare – proprio come fa Mirta – un genere che in Italia ha avuto anni grandiosi, ma che ormai sembra appartenere ad un’epoca passata. Un film per ragazzi che ha l’ambizione di parlare di temi universali, come le favole, spesso cattive, che se ben riuscite possono diventare immortali.
Andrea De Sica