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IL QUADERNO NERO DELL'AMORE - Tre corpi e tre anime


Un triangolo che, attraverso il sesso, cerca di scendere nelle profondità dell'animo umano. Diretto da Marilù S. Manzini è al cinema dal 27 maggio


IL QUADERNO NERO DELL'AMORE - Tre corpi e tre anime
Il Quaderno Nero dell'Amore
Due ragazze, un ragazzo, tre trentenni. Tre vite che si affannano alla ricerca di un senso, uno scopo, tre anime perse in una metropoli moderna che offre ogni tipo di svago e perversione. Si definiscono amici, “una cosa sola” come dice Mavi, la protagonista, interpretata da Emilia Verginelli, ma l’unica cosa che hanno veramente in comune è una profonda solitudine.

Una sera di tante Mavi propone agli altri due, Riccardo e Paola, un gioco: annotare in un quaderno nero, una sorta di diario segreto condiviso, tutti i loro incontri sessuali. Si tratta di un patto fra i tre, una sorta di Fight Club del sesso, con delle regole precise da seguire: oltre alla completa onestà richiesta ai partecipanti nel trascrivere ogni minimo dettaglio, la regola che non va mai infranta, pena l’esclusione dal gioco, è che a nessuno, se non ai tre partecipanti, è permesso leggerne il contenuto.
Il quaderno diventa ben presto una sorta di specchio in cui i protagonisti si rivedono nei racconti degli altri, e decisamente non è un bel vedere.

La regia di Marilù S. Manzini è volutamente statica, inquadrature fisse e alienanti che sottolineano la tragicità delle vite dei protagonisti. La aiuta anche molto in questo intento la scenografia teatrale di Michela Papa che vira al cupo, con stanze delimitate da quinte nere e con pochissimi oggetti d’arredo simbolici, che richiamano all’essenzialità di pochi elementi fumettistici e che contribuiscono all’effetto straniante del film, per cui lo spettatore si ritrova completamente fuori dai concetti di spazio tempo abituali.

Quando Mavi decide di condividere il quaderno nero con il suo analista, interpretato da un rigoroso Pier Maria Cecchini e il cui studio è, certo non casualmente, l’unica stanza reale del film, decreta intenzionalmente la fine del gioco. Forse perché stanca di tutto quel sesso, che non definisce le relazioni tra le persone e che alla lunga non funziona bene neanche come palliativo per la sua realtà miserabile. Oppure, come conclude la protagonista arredatrice, forse solo semplicemente perché “non è più di moda”.

31/05/2021, 10:22

Beatrice Tomassetti