IO RESTO - Per non dimenticare
È marzo 2020, il Coronavirus è diventata una non più ignorabile realtà e la quotidianità di tutti gli italiani è cambiata drasticamente da un giorno all’altro. Ma è dentro agli ospedali che quei giorni si trasformano in una vera e propria estenuante lotta.
È qui che il documentario
Io Resto del regista
Michele Aiello ci riporta, alle settimane del cosiddetto “primo lockdown”, quando la stragrande maggioranza di noi faceva i conti con le difficoltà dell’isolamento e un’altra parte del paese si trovava a gestire una situazione ospedaliera senza precedenti nella storia recente.
Il film si apre con le immagini delle strade vuote e della città desolata, in uno scenario che ha tutto l’aspetto di un mondo post-apocalittico. Poi, Michele Aiello entra, come uno spettatore silenzioso e rispettoso, nei corridoi dell’ospedale bresciano, dove al contrario le ore scorrono brulicanti di vita. La telecamera non va mai a disturbare, a frapporsi fra i professionisti sanitari e il loro lavoro, è un occhio vigile ma discreto sulle mansioni, sui gesti, sulle conversazioni che animano le fredde e impersonali stanze in cui ci si destreggia fra la vita e la morte.
Ciò su cui forse il documentario pone maggior enfasi è il rapporto che il personale dell’ospedale, nonostante le stringenti procedure richieste, riesce a creare con i pazienti malati di Covid-19. Ne esce un ritratto commovente, che mette in luce l’intensità della connessione emotiva che si viene a creare fra le due parti, ben al di là di quanto sarebbe richiesto dalle vesti che loro indossano.
Questo lungometraggio, a dispetto dalle tante belle parole dette nell’ultimo anno e arrivate da ogni parte, è forse il mondo migliore per rendere onore al sacrificio di medici e infermieri, perché oltre a mostrare la complessità del loro lavoro, valorizza la nobiltà e la bellezza delle persone che hanno scelto di dedicare la propria esistenza alla cura del prossimo.
19/08/2021, 10:05
Gabriele Nunziati