VENEZIA 78 - "Welcome Venice", Segre e la sua città
A chi appartiene, una città? A chi ci vive quotidianamente? A chi la rende prospera visitandola? E chi ha più "diritti" su di lei? Il proprietario degli immobili o chi mantiene le tradizioni, spingendo anche i turisti a tornare?
Domande dalle molte risposte, ancor più complesse da dare quando non si ragiona su una città ipotetica ma ci si sofferma su un caso unico, simbolico, eccellente ed esasperato come quello di Venezia.
Andrea Segre ha raccontato la sua città in molte occasioni e da molte prospettive. Mentre stava iniziando a lavorare a questo "
Welcome Venice", solo l'ultimo capitolo in ordine di tempo di una filmografia stratificata e densa come poche, la pandemia ha svuotato per la prima volta in secoli Venezia dei suoi milioni di turisti da tutto il mondo, restituendola ai suoi sparuti cittadini originari.
Una parentesi, una "bolla" che è presto scoppiata. La paura che possa "succedere di nuovo" ha per certi versi aumentato la spinta turistica, tutti sembrano voler arraffare il possibile finché c'è tempo: i temi del film, storia di una famiglia di pescatori in cui i fratelli si sono divisi tra chi prova a speculare sulla tradizione e chi è ancorato al rito quotidiano del cercare i pesci (le
moeche, i granchi tipici della laguna, nel caso specifico).
Affondare lentamente, nei debiti e nei ricordi, come sta facendo la città, oppure tentare il colpo di reni, svuotare gli spazi di tradizione "vera" per costruirne una a misura di turista, arricchendosi? Ci sono risposte poetiche e altre pragmatiche, esigenze personali e familiari, impellenze e sogni.
C'è un fondo, molto alto, di amarezza generale in questo racconto di sconfitte, di destini comunque segnati. Vendersi o sparire, adeguarsi o combattere: non c'è vittoria da nessuna parte, Venezia dà il benvenuto a tutti ma c'è ben poco da stare allegri.
01/09/2021, 21:30
Carlo Griseri