Irene vetere in "La Tana" di Beatrice Baldacci
Considerata una promessa del nostro cinema, la giovane regista
Beatrice Baldacci, ci incanta con questa sua opera prima (presentata alla Mostra del Cinema di Venezia) realizzata grazie al progetto Biennale Collage (il programma che segue i giovani autori nella realizzazione di un lungometraggio). Dopo il cortometraggio del 2019 “Supereroi senza superpoteri”, premiato a Venezia nella sezione Orizzonti, la Baldacci ci offre questo film convincente sotto molti aspetti: l’idea narrativa vagamente autobiografica, il tema della malattia, l’ambientazione nella sua Umbria nativa, l’età dei personaggi (anche la regista ha solo ventotto anni). La Tana lascia però qualche spazio ad alcune critiche e perplessità. Lunghissimi primi piani, intensi quanto stancanti, ci permettono di conoscere i due giovanissimi attori, l’ottima
Irene Vetere che interpreta Lia sfuggente e scontrosa (e di certo erede di qualche tara mentale regalo della madre).
Lia, stravolta dalla malattia che ha reso sua madre (
Hélèn Nardini) una persona senza più vitalità, senza coscienza e senza parola, la porta nel vecchio casale semiabbandonato di famiglia, per farle passare fuori dalla clinica i suoi ultimi giorni di vita. La ragazza entra in relazione con con il vicino Giulio (
Lorenzo Aloi) un bellissimo ragazzo tutto casa e campagna, esempio improbabile di perfezione esagerata e di come si possa essere al tempo stesso figlio modello, innamorato modello e agronomo modello, insomma un ragazzo fuori dai canoni, che si fa bastare la vita all’interno della sua cameretta, del suo trattore e della sua campagna.
Tra i due nasce un amore tossico per Giulio, preda di sconvolgimenti ormonali legati all’età e probabilmente alla condizione di solitudine in cui vive, che immediatamente si innamora e segue la ragazza nelle sue sfide assurde, sopportando i suoi ordini perentori e sgarbati ma saggiamente comprendendo che lo fa perché è stravolta dall’angoscia e dall’impotenza sulla malattia. Il loro amore cresce d’intensità ma è un amore dettato dalla disperazione di Lia che nel soffrire tremendamente la patologia mentale della madre, in verità, si comporta anche lei come una scriteriata.
L’autrice riesce a dare una impronta poetica usando la forza preponderante della natura in tutte le sue sfumature, natura che fa da leitmotiv lungo tutto il lungometraggio, esplodendo infine nella scena della camera della madre trapassata.
22/10/2021, 11:18
Silvia Amadio