Note di regia di "Corpi Liberi"
“Aprite le gabbie!” recitava uno slogan molto popolare alla fine degli anni ’60. Lo stesso slogan potrebbe andare bene come striscione per un corteo organizzato da Prisma. Più probabilmente reciterebbe più o meno così: “Aprite i corpi!”. Perché è anche attraverso la liberazione dei nostri corpi dalle convenzioni, dai pregiudizi, dalle religioni, dalla morale e dal controllo esercitato dal potere, dalla società e dalla cultura contemporanea che si può sviluppare un essere umano più auto-consapevole e in armonia con sé stesso.
Sono venuto a conoscenza dell’attività di Prisma per puro caso, poche settimane prima che avesse luogo il primo Pride studentesco all’Università di Roma La Sapienza. Se mi avessero detto, anche pochi giorni prima, l’effetto che avrebbe avuto su di me sapere che nell’università in cui ho vissuto, più di trenta anni fa e per più di cinque anni, esisteva oggi un collettivo LGBTQI+ che stava organizzando il primo pride universitario italiano, non ci avrei creduto. E invece sono stato profondamente commosso dall’entusiasmo, dall’impegno, dalla militanza e dall’idealismo di quest* ragazz*, che mi hanno conquistato a tal punto da offrire loro il mio contributo andando a girare del materiale audiovisivo, come documentazione di un momento secondo me storico, in puro spirito di solidarietà.
Vedendo il loro caleidoscopico, chiassoso, contagioso corteo sfilare tra i silenziosi e austeri viali della “mia” università, ho rivisto me stesso alla loro età, ventenne omosessuale spaventato dal dover affrontare un mondo che non contemplava la mia esistenza; ho pensato a come sarebbe stato diverso il mio percorso, la mia vita, se ci fosse stato qualcosa di simile a sostenermi, a farmi sentire accolto e incoraggiato, orgoglioso di quello che ero e sono. Il mio percorso di consapevolezza è stato molto più lento, faticoso e doloroso proprio perché loro non c’erano quando io ero uno studente. La gioia che ho provato nel vedere tanti giovani gay, lesbiche, trans, bisex affermare apertamente le loro identità e le loro diversità era incontenibile. Ascoltando le loro parole, mi hanno definitivamente conquistato la perspicacia e la lucidità delle loro rivendicazioni, la passione che mettono in ogni affermazione delle loro vite e dei loro corpi.
Io sono cresciuto – e mi sono formato - sull’onda del 1968: la rivolta studentesca, la liberazione sessuale, il femminismo, le prime rivendicazioni omosessuali e tutto quel movimento in avanti iniziato in quegli anni (il divorzio, l’aborto, il riconoscimento del cambio di sesso...), li ho vissuti come un’indicazione della vita a venire, erano i segnali di un futuro che credevo alle porte. Noi eravamo l’avvenire, un avvenire che infrangeva tutte le convenzioni, le istituzioni, i perbenismi e le ingiustizie della società borghese in nome dell’amore universale.
Gli ultimi trent’anni, per moltissimi versi, hanno invece segnato una regressione: il contraccolpo della società maschilista e patriarcale catto-borghese iniziato negli anni ottanta in reazione a questi avanzamenti di idee e persone nuove, è diventato una vera e propria controriforma. La società del futuro, quel nuovo mondo in cui era l’utopia a andare al potere - e non il capitale - non si sono mai realizzati.
“Volevamo cambiare il mondo, ma è il mondo che ha cambiato noi” (tanto per citare una celebre battuta dell’ex-comunista Gassman nel film di Ettore Scola, C’eravamo Tanto Amati).
O almeno così ho creduto in questi ultimi decenni, fino a quando ho scoperto che gli stessi ideali che avevano animato i miei padri fondatori rivivevano di vita nuova – e di colori decisamente queer – grazie a questa nuova generazione, che io avevo superficialmente dato da tempo per spacciata, soprattutto nell’ambito LGBTQI+, credendola lobotomizzata dai reality, dai videogames, dai social e che invece, anche grazie a questi ultimi, ha trovato nuovi modi per diffondere tutto quello in cui ho sempre creduto.
Le ragazze e i ragazzi di Prisma sono i nipotini arcobaleno di Marx e Marcuse, Engels e Mieli.
Come Greta, come Simone, anche loro sono una nuova speranza in un futuro migliore, in una società socialista e solidale. Sono un raggio del sol dell’avvenire. E fosse solo per questo, le loro storie, i loro ideali e le loro battaglie meritano di essere raccontati in un film.
Per far sapere alle generazioni più giovani che c’è una realtà studentesca pronta ad accoglierli a braccia aperte, qualunque sia il loro orientamento affettivo e sessuale. Per far sapere alle generazioni più anziane, come la mia, che c’è ancora un filo di speranza per un futuro migliore, un futuro che comprenda tutti i colori dell’arcobaleno.
Fabiomassimo Lozzi