Note di regia di "Una Femmina"
Tutto nasce dal libro inchiesta Fimmine Ribelli di Lirio Abbate, da questo testo è nato un soggetto, scritto dallo stesso Abbate con il regista Edoardo De Angelis, è stato lui a coinvolgermi e a propormi l’idea. Oggi posso dire che Edoardo ha avuto grande coraggio nell’affidare un film così complesso ad un regista esordiente. È stata una mossa rischiosa, non scontata, e non posso che esserne riconoscente. Lo script era di poche pagine ma già denso di rabbia e umanità, personaggi che mi hanno immediatamente conquistato per la loro carica emotiva e sovversiva. Un racconto sulla criminalità da un punto di vista, uno sguardo, tutto femminile. Durante la fase di scrittura non ci siamo ispirati ad un unico fatto di cronaca, il film racchiude dentro di sé tante storie, tante voci e quella di Rosa sintetizza le esperienze drammatiche di tante donne. Sono le femmine ribelli descritte da Abbate1 , donne che hanno avuto il coraggio di rompere con i legami di sangue e i codici d’onore della ‘Ndrangheta, l’organizzazione criminale che ha saputo, più di tutte, costruire il suo impero sulle fondamenta più solide e archetipiche al mondo: la famiglia. Se la ‘ndrangheta oggi è così potente è proprio grazie a questa struttura e alla sua forza. “Una femmina” è quindi, prima di tutto, una storia familiare. La morsa psicologica, l’oppressione e il ricatto domestico, l’ombra di un passato fatto di sangue, sono elementi centrali che caratterizzano il mondo di Rosa. Ed è proprio durante la fase di ricerca che è scattata una connessione tra quel mondo e il mio vissuto. Io sono nato e cresciuto in Calabria, una terra rimasta ai margini, troppo spesso dimenticata dallo Stato. È una terra che ti porti dentro perché segna uno stato d’animo, un modo di stare al mondo. Con questo film ho avuto la possibilità di guardare indietro, alle mie origini, è stata una tappa importante per costruire l’universo emotivo del film e il suo immaginario. “Una Femmina", nonostante la drammaticità e la violenza degli eventi narrati, è anche un atto d’amore verso la mia terra, un monito ad un riscatto tutto femminile. Immergendomi nella materia umana, durante la lettura dei processi e l’incontro con le donne vittime della ‘ndrangheta, ho sentito che quel mondo mi apparteneva. Alcune storie risuonano nel nostro vissuto in maniera sorprendente, si amplificano dentro di noi e si trasformano nel processo artistico. È questo che amo del cinema, l’immersione nella vita e la trasfigurazione che ne consegue, il sottile equilibrio che si instaura tra il nostro sguardo e la realtà che si manifesta. Forse sono le storie a scegliere noi. In questo caso, potrei dire che è stato il film a scegliere me. Se ripenso alla mia storia personale non potevo che esordire con un film più adatto. Girare in Calabria è sempre stata la mia prerogativa. Ho passato mesi in giro per paesi sperduti nell’entroterra calabrese, cercando volti, suggestioni, immagini che potessero dar vita al mio film. Una ricerca lunga che è stata fondamentale per capire che tipo di film volessi fare. Affrancarmi da una restituzione puramente realistica e cercare in zone più profonde, connettermi con l’esperienza traumatica vissuta da queste donne, farne percepire il sentimento di oppressione, di impotenza, far sì che questo film diventasse innanzitutto un’esperienza intima, quasi irrazionale, per lo spettatore. Ho cercato quindi di restituire l’immagine di una Calabria magica, ipnotica, territorio inconscio di qualcosa che è sommerso, che fatica ad emergere e a mostrarsi in tutta la sua bellezza. Ho lavorato con tutti i miei attori cercando una connessione inconscia con la materia rappresentata. Ed è grazie a questo contatto, a questo lavoro in profondità, che il film ha acquisito la sua forma e il suo carattere. “Una femmina” è una fiaba nera, un viaggio in cui lo spettatore può connettersi a una dimensione inconscia ed archetipica. Perché in fondo la storia parla di una rimozione traumatica, quella di Rosa verso la morte di sua madre, e di violenza sul corpo delle donne. Ed è qui che il film diventa drammaticamente attuale e universale e credo che sia questo il suo punto di forza, anche rispetto ad una materia spesso indagata e rappresentata. Qui la forza sono le donne, la soggettività oppressa e spesso negata. Il lavoro disound design è stato fondamentale nel rafforzare questa direzione. Con Valerio Camporini abbiamo lavorato su droni e musica concreta, ricampionando suoni reali che potessero restituire una sensazione vicina all’esperienza perturbante, qualcosa che andasse a scavare nel nostro cervello emotivo. Non volevamo una musica di accompagnamento ma una partitura emotiva, una sonorizzazione capace di sostenere un andamento ipnotico e dark. Le sonorità della Calabria vengono rievocate da Davide Ambrogio, cantante e polistrumentista di Cataforio, paese in prima linea nella salvaguardia del patrimonio etnomusicale calabrese. È grazie a questa collaborazione che nasce l’incontro e la fusione con la tradizione e la musica popolare. Con il direttore della fotografia, Giuseppe Maio, abbiamo lavorato su inquadrature per lo più statiche. Ai movimenti di macchina preferisco la staticità, mi piace che il quadro venga riempito dallo spettatore, dal suo pensiero e dal suo sguardo. Ogni attore ha contribuito attivamente alla costruzione del proprio ruolo, lavoro per me fondamentale per dare verità al personaggio stesso. Gli attori sono l’anima del film e Lina Siciliano, la protagonista alla sua prima esperienza cinematografica, è il pilastro emotivo di “Una Femmina”. Per questo ruolo ho subito pensato a una non professionista, avevo bisogno di una verità che soltanto la strada mi avrebbe portato. Per il ruolo di Rosa necessitavo di una ferita, dovevo sentire la rabbia nel sangue e Lina Siciliano ha dato forma a tutto ciò. Il nostro è stato un incontro speciale. Durante la preparazione, ho fatto una lunga ricerca nelle case famiglie femminili. Lina Siciliano è stata la prima ragazza a presentarsi al provino, ne ho viste centinaia di altre, se non migliaia, ma alla fine è rimasta lei. È bastato uno sguardo. Lina si porta addosso tutto il dramma della sua infanzia e la rabbia di chi ha dovuto combattere per sopravvivere e autodeterminarsi. Quando Lina è rimasta incinta e ha dato alla luce Luca, suo figlio, abbiamo rimandato le riprese. L’abbiamo aspettata: Lina Siciliano doveva essere Rosa, non potevamo sostituirla. Il piccolo Luca è stato fondamentale per dare a Lina un grande sostegno per un ruolo psicologicamente così forte e impegnativo. Un dono prezioso per un film che ruota attorno al tema della maternità e che vede in una nuova nascita l’unica speranza di cambiamento.
Francesco Costabile