Note di regia de "La Svolta"
Non ero neanche arrivato a metà del copione e già avevo deciso che quella sarebbe stata la mia Opera Prima (Caso? Destino? Boh!). C’erano tante cose che parlavano di me e tante altre che vivevano silenziose nella mia immaginazione: conflitti interiori, cadute, redenzione, amicizia, amori e crime. Nell’inadeguatezza di Ludovico ho ritrovato le mie insicurezze di inizio carriera, quando pensavo di non essere all’altezza di questa professione, quando la paura del giudizio degli altri e il mettermi in gioco rischiava di mortificare le mie aspirazioni. Mi sono però riconosciuto anche nella spregiudicatezza incosciente di Jack, che cammina lungo il wild side della vita, affrontandone i rischi: trasferirsi a Roma per rincorrere il sogno di fare cinema è stato il mio piccolo grande rischio... i miei mi volevano ingegnere.
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La Svolta" parla di due solitudini che s’incontrano e si scontrano (anche qui: caso? Destino? Boh!) nel cuore di una città raccontata mille volte, ma volutamente circoscritta in un quartiere popolare e storico come la Garbatella, che, se di giorno vive la sua dimensione di normale quotidianità, la notte è molto meno folcloristica di quello che sembra e come ormai tutto il nostro Paese è infettata da piccola e grande criminalità. I malavitosi che minacciano i due giovani protagonisti non sono quelli rappresentati da tanti film e serie televisive di successo, no: qui si parla di mezze calzette, anche loro alle prese con inadeguatezze, ambizioni troppo grandi e frustrazioni. Ma non per questo, o forse proprio per questo, meno feroci e spietati. Ho scelto, quindi, di raccontarli in maniera classica, pulita, attraverso inquadrature statiche e composte, per creare una cornice quasi ‘fumettistica’, che rispecchiasse quella Garbatella che Ludovico sogna di raccontare nei suoi disegni, inconsapevole che presto busserà alla sua porta. Per i due attori protagonisti, talmente innamorati dei rispettivi personaggi da diventare Jack e Ludovico anche nella vita (perlomeno per tutta la durata delle riprese), ho scelto la macchina a mano, mobile e spesso sporca, ma incollata ai loro visi, ai loro occhi, alla caccia di espressioni e sguardi che andassero oltre le parole. Ho condiviso le loro emozioni, ho riflettuto sulle loro paure, le loro angosce, ho ascoltato i loro consigli. Posso aggiungere che ho cercato di forzare il genere, mischiandone magari diversi, provando a percorrere una strada, forse più rischiosa, certamente più personale, ma sempre con l’intento di suscitare emozioni, che è il motivo per il quale faccio cinema.
Riccardo Antonaroli