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UNA CLAUSTROCINEFILIA - Flusso di coscienza cinematografico


In concorso al 40° Bellaria Film Festival nella sezione Gabbiano il film del critico e sceneggiatore Alessandro Aniballi girato durante il lockdown č una riflessione sull’ossessione del cinema.


UNA CLAUSTROCINEFILIA - Flusso di coscienza cinematografico
Una Claustrocinefilia
Nel marzo del 2020 l’Italia č in lockdown, il cinefilo Alessandro Aniballi si rifugia nella sua stanza e nei film del passato per ripercorrere le tappe che lo hanno portato all’origine della sua ossessione per il cinema, a come ha influito sulla sua vita. Si rivolge al pc che ormai conosce bene quei film e diventa il compagno di questo viaggio alla scoperta di sé stesso.

"Una claustrocinefilia" č un flusso di coscienza accompagnato da un turbine di immagini, quelle di gran parte della storia del cinema, da “Quarto Potere” a “Vertigo”, da “Re per una notte” ad “Apocalypse Now”, da “Il circo” a “San Michele aveva un gallo”, una sconfinata lista che dimostra l’enorme conoscenza del regista della settima arte: le parole, le riflessioni sulla vita di Alessandro Aniballi e sul ruolo che il cinema ha avuto nella sua formazione, nelle sue scelte, nell’approccio al mondo sono i protagonisti di questo film. “La cinefilia č una malattia”, gli dice il professor Giovanni Spagnoletti incontrato all’ultima edizione del Festival di Cannes prima dell’avvento del Covid e da questa dichiarazione ha inizio il documentario, “figlio” di una narrazione “alla Enrico Ghezzi” di “Fuori Orario”, apparentemente caotico ma in realtŕ metodico nell’organizzare pensieri e sequenze.

Il documentario, infatti, denota un grande amore per il cinema, un’ossessione grazie alla quale lo sceneggiatore e regista associa con coerenza i suoi pensieri a sequenze significative di capolavori o di cult di serie b, di opere rivoluzionarie o sconosciute ai piů, con un pizzico di sentimentalismo: “Bob, quando morirai anche tu sarŕ tutto finito”, ripete rivolgendosi a Robert De Niro che appare in “Taxi Driver”, “Toro Scatenato”, “Re per una notte”, un’affermazione che si rivela come una triste e ineluttabile profezia. Sembra questa la malattia dei cinefili, mescolare il proprio vissuto con i film, gli attori e registi della vita, associare ogni pensiero a una sequenza, a un primo piano, a una carrellata, a una colonna sonora.

Il documentario di Aniballi si rivela un “piccolo” manuale di cinema che alterna l’autobiografia alla storia cercando di spiegare l’ossessione per la settima arte, la necessitŕ di associare sempre tutto a un frame.

10/05/2022, 08:16

Caterina Sabato