Note di regia di "Rosanero"
“E così l’imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: «Che meraviglia i nuovi vestiti dell’imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!».” Nessuno, per paura o per timore di passare per stupido, voleva far capire che non vedeva niente, e che il Sovrano era nudo, in realtà. “«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino «Signore, sentite la voce dell’innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all’altro quel che il bambino aveva detto. «Non ha niente addosso! C’è un bambino che dice che non ha niente addosso!». E l’imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: «Ormai devo restare fino alla fine». E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c’era.” È un richiamo alla celebre favola di Andersen, “I vestiti dell’imperatore”. Quando ho letto “Rosanero” il bel romanzo di Maria Tronca, mi è subito tornata in mente. E mi è venuta voglia di trarne l’ispirazione per un film, in cui si racconta di uno scambio d’anima tra due persone che più diverse tra di loro non potrebbero essere: una bambina, Rosetta e un camorrista, Totò. La stessa mattina Totò e Rosetta escono di casa. Lui subisce un attentato, lei cade dall’altalena e batte la testa. Entrambi finiscono in coma e vengono operati l’uno a fianco dell’altra, nello stesso ospedale. Quando si svegliano, a seguito di una sorta di beffardo miracolo, l’anima, la personalità del violento, prepotente Totò si ritrova imprigionata nel fragile, delicato corpo di Rosetta. E Rosetta, tutta grazia, sensibilità, femminilità, si ritrova nel brutale, maschile corpo di Totò. Solo loro se ne accorgono e ciascuno si trova a vivere la vita dell’altro. E, superato lo choc iniziale, come nella favola di Andersen, lo sguardo della bambina si posa sul clan camorristico di Totò e lo “spoglia” di tutta la sua pretesa potenza, mettendone a nudo la miseria e l’involontaria comicità. La storia mette uno di fronte all’altro il maschile (inteso nel suo senso più travisato, di protervia, aggressività, prepotenza) e il femminile (inteso nel senso della comprensione, della disponibilità, della attenzione agli altri, qualità ovviamente non solo femminili, ma ritenute indegne di un vero macho, almeno in una certa sottocultura). E su questo si è concentrato il lavoro con Salvatore Esposito, redigendo il copione e poi nella interpretazione. Un lavoro non solo verbale, ma mimico, posturale, gestuale, volto a trovare nel corpo di un uomo adulto la grazia di una bambina. Salvatore si è dimostrato il sogno di ogni regista. Un grande attore che si è messo in gioco fino in fondo, reduce dal personaggio del boss Savastano, pronto a ribaltarlo, trasformando il camorrista in una piccola danzatrice, intrappolata nel corpaccione di un boss. E non è solo tecnica: quando guardo gli occhi di Salvatore nel girato, vedo gli occhi di una bambina, di quella bambina, di Rosetta Capuano. Salvatore è riuscito, come il personaggio di Totò, a far sua Rosetta, fino dentro l’anima. E la stessa magia è riuscita, in senso inverso, a Fabiana Martucci, la bambina, anzi la piccola donna di dieci anni che ha interpretato Rosetta/Totò. CREDITI NON CONTRATTUALI 7 Fabiana, dopo aver superato la selezione di un casting operato su decine di candidate, è riuscita a incarnare, con spirito, eleganza e divertimento, la volgarità, la vanagloria e la prepotenza di un boss di camorra. Lei e Salvatore si sono “scambiati” le personalità, studiandosi, catturando l’immagine e il cuore l’uno dell’altra, come in uno specchio magico, fin dal primo incontro, nell’ufficio di produzione, durante le prove. Anche nella realizzazione del film lo stile scelto è quello delle favole, nella convinzione che le fiabe siano più reali della realtà, siano ancora più dirette e profonde nel descrivere personaggi e storie, fino a metterli a nudo, come il Re di Andersen. A quel mondo si ispira la scenografia di Valerio Girasole, che ha trovato delle meravigliose location, dalla villa/palazzo di Totò, alla sua stanza/reggia, in cui convive con una tigre, tra letto a baldacchino e affreschi. E centro delle riprese è stata Castellammare di Stabia, con il Vesuvio sul fondo, proprio come nelle tavole di un libro illustrato. Il lavoro sui costumi di Eva Coen, a sua volta, ha sposato questa impostazione, fin dalla decisione di soprannominare Totò, “O Nero”, perché lui e il suo clan vestono tutti di quel colore, come la strega di Biancaneve e i suoi corvi, e quando arriva Rosetta cambia tutto, il Rosa prende il posto del Nero. La fotografia di Marcello Montarsi e la musica di Francesco Cerasi mescolano anche loro i colori della favola: la penombra della sala del trono di Totò, che con Rosetta si spalanca alla luce, la cupa melodia che sottolinea il ferimento del boss e di Rosetta, che muta in toni magici e beffardi, quando la bambina nei panni di Totò mette a soqquadro la vita del clan di camorra. Nel viaggio assieme a Totò e Rosetta ho avuto la fortuna di trovare dei compagni brillanti e divertiti negli interpreti degli altri personaggi: Antonio Milo, Sebastiano Somma, Ciro Esposito, Aniello Arena, Salvatore Striano, Alessandra Borgia, Fabio De Caro e tutti gli altri, che hanno donato ai ruoli il loro talento, ma ancora di più il loro saper giocare, dando a Rosanero il registro dolce ed allegro di una bella, semplice canzone, di una filastrocca che ti resta in mente. Infine devo ringraziare l’amico di sempre, Matteo Levi, che con la 11 Marzo Film, ha creduto da subito nel progetto e lo ha portato fino in fondo, assieme a Vision Distribution e Sky Original, che ci hanno accompagnato in un’avventura difficile, divertendosi con noi e tenendo per mano Rosetta e Totò nella loro magica avventura.
Andrea Porporati