Note di regia de "Il ragazzo e la tigre"
Conoscevo la leggenda nota in tutta l’Asia che narrava del Guru Rimpoche, l’uomo santo per i Buddisti, che volò nel IX secolo a cavallo di una tigre dal Tibet al Bhutan per fondare il monastero del Tiger’s Nest. E così, quando nel 2015 lessi del programma del WWF “Save the tigers now”, pensai che bisognava realizzare un film rivolto ai giovani, per far sapere loro che esiste un mondo in pericolo. Di questi straordinari felini ne restano soltanto 3900 esemplari in libertà e in Nepal, uno degli habitat naturali della magnifica tigre del Bengala, il numero è inferiore a 300. Il film, per certi aspetti, riflette proprio su questo: la conservazione della fauna selvatica e la scomparsa delle specie. Per documentarmi ho viaggiato nel Nepal subito dopo il terribile terremoto del 2015. Ho incontrato persone straordinarie, come Meg Done, che all’epoca ha costruito un orfanotrofio per 45 bambini, ho passato alcuni giorni con loro e ho capito che la mia storia aveva l’opportunità di raccontare anche degli incredibili, esili ma fortissimi bambini nepalesi e di luoghi come la “casa dei bambini”, una comunità affiatata, luogo di amore e guarigione, dove i piccoli che hanno vissuto tragedie e perdite trovano una nuova dimora. È nato così un film che mette insieme le emozioni della fanciullezza e della crescita alle difficoltà di essere orfani.
L’avventura che il protagonista intraprende per salvare la tigre, rispecchia la situazione che vive il cucciolo: Balmani (che in nepalese vuol dire “piccolo gioiello”) - un ragazzo nepalese, orfano, di 12 anni, vittima proprio di quel tragico terremoto - e Mukti - un cucciolo di tigre del Bengala vittima dell’avidità dell’uomo - intraprendono un viaggio incredibile dalle pianure erbose del Nepal tropicale fino all'alto Himalaya per raggiungere il Tiger’s Nest. Le riprese sono state molto impegnative, ma ho avuto la fortuna di collaborare con alcuni dei migliori professionisti. La troupe cinematografica è stata in grado di muoversi velocemente per catturare la naturalezza delle scene. La cinepresa è stata montata spesso bassa per filmare l’espressione del cucciolo da vicino. Un altro elemento essenziale del nostro lavoro è stato quello di catturare le condizioni estreme della regione Himalayana. In Nepal, nell’arco di 50 km, il paesaggio cambia dalle pianure Sub-tropicali del Chitwan alla vetta dell’Annapurna a 8100m. Tutto è su larga scala: la catena Himalayana si sviluppa per una lunghezza che potrebbe coprire metà dell’Europa, con le valli più profonde, le montagne più alte ed il terreno più accidentato del pianeta. La prima parte del film si svolge nella giungla del Chitwan. Qui abbiamo voluto evidenziare la luce, il canto degli uccelli e le grida degli animali selvatici per rappresentare la natura incontaminata. La seconda parte del viaggio si sviluppa a Kathmandu, in considerevole contrasto. I protagonisti si muovono in un contesto urbano inquinato, con strade affollate, caos, rumore, sguardi indifferenti e pericoli di ogni genere.
Nella terza parte del viaggio lasciamo il panorama soffocante della città ed entriamo nel mondo dell’Aria Sottile oltre i 4000 metri, dove il tempo si muove lentamente e lo spazio ha una dimensione diversa. Per la gente del posto, si viaggia per lo più a piedi e i viaggi richiedono giorni, a volte anche settimane. Nella giungla subtropicale del Nepal, le riprese sono state possibili solo dall’alto degli elefanti, per non disturbare le tigri. Questo ci ha permesso di avvicinarci senza disturbare il loro equilibrio. 8 Per catturare il potere silenzioso dell’Himalaya, nell’antico regno del Mustang, abbiamo lavorato anche utilizzando i droni ed una troupe ridotta in modo da poter filmare luoghi altrimenti inaccessibili e lontani dai moderni comfort. Abbiamo usato elicotteri per portare il protagonista sugli alti passi montuosi dove avrebbe camminato con la piccola tigre. Le vette più alte dell’Himalaya fanno da sfondo a quest’ultima parte del viaggio, come la montagna Ama Dablam, considerata dalla gente del posto la dimora degli dèi. Abbiamo stabilito la nostra base nel piccolo aeroporto di Syangboche a 3750 m. La sua piccola pista di atterraggio sembra sospesa in aria, piuttosto che radicata a terra. Negli ultimi tempi sono state avvistate tigri fino ad oltre 4000 metri di altezza. Una speranza che il loro habitat, invaso a valle dall’uomo, si possa allargare agli spazi infiniti delle colline himalayane.
Brando Quilici