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Note di regia di "Enrico Cattaneo / Rumore Bianco"


Note di regia di
Enrico è più forte del film, di qualsiasi film su di lui. La sua vena sperimentatrice e ironica è troppo oltre l'obbiettivo e i possibili tentativi di rendergli omaggio. prima che ci presentassero credo che lui non volesse che si facesse un documentario su di lui. Poi senza nemmeno volerlo, ha cambiato idea piano piano, senza mai dirlo apertamente. Fatto sta che attorno a lui siamo diventati sempre di più e la sua figura ha affascinato anche Ruggero Gabbai che con più persistenza di me è riuscito a riprenderlo nella sua dimensione pubblica (la mostra "Take Away" che forse più di ogni altra rende giustizia alla sua generosità e umiltà autoironica) e a fargli un'intervista in cui -come sempre in situazioni "serie"- attua un autosabotaggio: Enrico non si prende mai davvero sul serio. Nelle pause e nelle "lamentele" di quella chiacchierata c'era tutto il suo lato privato, nelle sue foto e nei suoi ricordi c'è una piccola parte del suo talento professionale, artigianale. Enrico era un chimico, un matematico, un alchimista. Un tecnico (nel senso di Techne greco) che giocava con le immagini così come giocava con le persone. Che amava gli spazi periferici come le opere d'arte. Le sue condizioni nei tre anni in cui l'abbiamo visitato, sono peggiorate sempre di più e una settimana dopo il nostro ultimo incontro è mancato. Il materiale girato era stato fatto senza pensare già a una sceneggiatura strutturata. E più ci pensavamo più facevo fatica a vedere quella sceneggiatura come "dispositivo" in cui incanalare Enrico. Nel momento in cui abbiamo visionato il girato senza poter più girare però c'era già tutto. Enrico era così: un pezzo di Charlie Parker (che lui amava molto) che scorreva spontaneo ma denso. Non c'era un vero backstage né un vero "si gira", non c'erano convenzioni. Il documentario "cucito" su di lui non poteva avere una forma o una durata convenzionale, ma nemmeno diventare tanto sperimentale da non poter essere usufruito. Lui dettava i ritmi e le scene. Enrico danzava su quella linea sottile che si chiama sperimentazione. Una sperimentazione gentile. E così l'audio a volte scompare permettendoci di modulare un rumore bianco come se fosse un universo reale, ma sospeso, che era quello della sua vita quando l'abbiamo conosciuto. Le riprese alternano camera a mano e a cavalletto, i suoi momenti di concitazione e di riposo e riflessione (di solito con sigaretta o sigaro...). Gli errori, le voci fuori campo, le ombre, i riflessi, sono rimasti così come c'erano, perché sono parte integrante di quello scambio con lui che è la linfa del progetto. E lui non li avrebbe nascosti, li avrebbe maneggiati per farli diventare linguaggio. Mentre montavo il film pensavo a Enrico che mi guarda mentre lo riprendo, a quegli sguardi in camera, e che montare questo film sarebbe dovuto essere una trasposizione allo specchio di quello sguardo: noi guardiamo lui, e cerchiamo di restituire almeno una piccola parte di quello che rappresenta per noi e per la storia della nostra città e della fotografia.

Francesco Clerici, Ruggero Gabbai