FCP 2022 - Emanuele Crialese: "I professori oggi sono eroi"
Uno degli appuntamenti più attesi dal pubblico del
Festival del Cinema di Porretta 2022 era sicuramente l'incontro con
Emanuele Crialese per la proiezione del suo "L'immensità". Il regista non ha potuto presenziare di persona, ma ha voluto ugualmente garantire la sua partecipazione all'incontro con le scuole: centinaia di studenti e studentesse hanno visto il suo film al cinema Kursaal e poi dialogato col regista su vari temi.
Come ha capito che fosse arrivato il momento giusto per fare questo film?
È come quando scrivi un diario permolti anni, quando lo si rilegge sembra non arrivare mai il momento in cui ti dici che puoi chiuderlo... Ogni giorno scopri cose del tuo presente, che cambia in continuazione, e ogni anno cambiano i modi in cui ti relazioni con te stesso, con le persone che ti stanno vicino. Diventa difficile parlare di qualcosa che comunque continua a vivere con te, era difficile per me fossilizzare tutto questo su uno schermo. Tutti i miei film sono autobiografici, e così anche questo.
Come ha scelto Luana Giuliani, un’attrice non professionista e che non sta vivendo il percorso del suo personaggio?
Tutti abbiamo vissuto quella fase, dai quattordici anni più o meno, in cui improvvisamente da bambini iniziamo a chiederci cosa diventeremo, cosa ci succederà. Per me era molto difficile scegliere tra le bambine che dovevo selezionare che, oltre a tutto questi sentimenti che abbiamo avuto tutti alla loro età, avesse anche il dilemma di chiedersi “ma io sono maschio o sono femmina?”.
Ero preoccupato per la tutela psicologica della bambina stessa. Luana è una motociclista e competitiva, ha sempre sentito la volontà di battere i maschi. Quindi io le dicevo che doveva affrontare le riprese come se fosse una gara, che dovesse battere i maschi. Le dicevo che, nonostante sapesse bene di non essere un maschio, dovesse semplicemente fare finta di essere un maschio. Non ci siamo fermati a discutere o affrontare questioni sulla fluidità, l’identità di genere. Erano temi che non volevo affrontare con lei come se fossi una figura genitoriale. Io non mi sono voluto prendere questa responsabilità, anche perché non penso che debba essere un’altra figura – per quanto il mio lavoro e il film fossero importanti in quel momento – a discutere con una bambina certi temi. Quindi, ho scelto una persona dell’età giusta, competitiva, che semplicemente doveva comportarsi come se stesse andando a battere i maschi in moto.
E con Penelope Cruz come ha lavorato?
E' una figura femminile che potrebbe essere una madre, una nonna, una bisnonna, una figura in qualsiasi famiglia di ognuno di noi. Anche nel futuro, di tutte le epoche. È una sorta di archetipo femminile. Oltretutto, è anche molto simpatica. Oltre anche a poter avere il suo talento, sono stato molto fortunato, perché le ho mandato la sceneggiatura e, dopo tre settimane, mi ha chiesto di non far leggere la sceneggiatura a nessun’altra perché la voleva lei. Quando è arrivata ho capito che, anche fisicamente, lei era esattamente la figura femminile che io volevo.
Come ha scelto il titolo?
Con il tempo ho capito che non è dato sapere cosa sia l’immenso. E mentre un tempo non saperlo mi inquietava, oggi non sapere cosa ci sia nell’immenso mi rassicura. Perché mi dà una mia dimensione umana di essere finito. Penso che questo valga molto anche quando abbiamo a che fare con un bambino. Ho capito che, quando abbiamo a che fare con un bambino, dobbiamo considerare che lui abbia bisogno di essere rassicurato sul finito. È un titolo che parla del contrario di quello che vuole essere il tema principale del film, una figura retorica. L’immensità come possibilità immaginifica ed evasiva.
Che tipo di trasformazione vede nella trasformazione dei ruoli genitoriali rispetto agli anni raccontati nel film?
Sicuramente, c’è un maggiore ascolto da parte di tutti alle istanze dei ragazzi, quindi c’è un miglioramento. Sono fiero ed orgoglioso di aver ricevuto tanti no, del fatto che non avevo sempre il supporto dei miei genitori, che dovevo prendermi le mie responsabilità. Ho imparato ad obbedire anche quando non ero d’accordo. Questo allenamento alla riflessione e all’obbedienza – anche quando ingiusta – è stata per me una grande palestra. In primis, perché mi ha insegnato ad interloquire con i miei superiori a modo mio. Inoltre, a muovermi nel mondo senza sentirmi sempre protetto da altri. Quindi, ad assumermi la responsabilità delle mie azioni e delle mie parole. Trovo che i ragazzi di oggi non abbiano sempre questa possibilità di combattere per loro stessi, di trovare il loro modo di interazione nel mondo. C’è troppa protezione. Mi sento in questo solidale con chi in questo momento deve svolgere la funzione di insegnante, per me i professori oggi sono veri eroi.
08/12/2022, 17:40
Carlo Griseri