Note di regia di "La Fortuna di Laura"
La fortuna di Laura è una fiaba ambientata al giorno d’oggi, una Cenerentola “al contrario” che, come tutte le fiabe, reca in sé un potere magico: quel e…vissero per sempre felici e contenti è capace di elevare l’anima con il suo profumo di ottimismo.
Racconta la caduta e l’inatteso riscatto di una rampante interior designer (una scatenata e autoironica Lucrezia Lante della Rovere), che si ritrova a fare i conti con quel mondo effimero che poco prima abitava da indiscussa protagonista. Per dirla in termini fiabeschi, Laura-Cenerentola, messo il vestito della festa, si ritrova imprigionata nei panni di una colf!
La sua fortuna è appunto quella di perdere tutto e reinventarsi, aprendo il suo sguardo e tutta sé stessa agli altri e a un sentimento profondo e sconosciuto: l’amore. Di sua figlia, delle poche amiche su cui può ancora contare e di un principe azzurro sui generis, ruvido nei modi e nelle parole, che sbarca il lunario facendo l’infermiere.
Sin dall’inizio sono stato conquistato dalla scrittura agile e ricca di avvenimenti, leggera ma non banale, dall’ambientazione così azzeccata. Trieste con la sua bellezza ricca di storia, con le sue piazze spazzate dal vento e inondate di una luce netta che alla fine di ogni inquadratura regalano sempre il mare, è come uno scrigno che protegge e custodisce il mondo incantato di Laura. Di contro la periferia operaia, distante solo poche centinaia di metri dal centro città ma lontana anni luce dal lusso e i fasti del passato, ben si presta a raccontare la vita di persone come Agnese e Fabrizio; due fratelli già “sgualciti dalla vita” ma ancora troppo giovani per tirare i remi in barca, che dividono la casa di famiglia e i problemi di tutti i giorni.
Gente comune, che passa da un turno di lavoro all’altro per arrivare alla fine del mese, ma non per questo meno disposta a sognare.
Il valore aggiunto del film a mio avviso risiede nel cast. Nelle interpretazioni dei tre protagonisti, bravi ad indossare la commedia ma attenti a tratteggiare dei personaggi credibili, non caratteri ma esseri umani.
Già detto del lavoro di Lucrezia, brava a mettere in scena le nevrosi e gli eccessi di un certo contesto sociale con grande ironia. Il lavoro di Emanuela Grimalda e Andrea Pennacchi (Agnese e Fabrizio) evidenzia la capacità di giocare con il ritmo, con la leggerezza ma anche lo spessore umano dei due interpreti.
Nel ritmo sfrenato degli avvenimenti sono riusciti a cristallizzare le fragilità dei loro personaggi, a fotografare con precisione, quasi avessero fermato il tempo, i rovesci emotivi che li investono.
È stato un dono aver potuto realizzare questo film. Aver potuto giocare in assoluta libertà con i registri e i generi. Stupirmi e ridere come fossi il primo spettatore mentre la realizzavo.
Vorrei che lo spettatore fosse colpito dalle mie stesse emozioni. Che alla fine della visione si sentisse felice. Perché si sa che la felicità porta fortuna, e ridere è un dispensatore di ottimismo e perciò di coraggio. Che è il primo passo verso ogni impresa. Dalla più piccola alla più grande.
Alessandro Angelini