Note di regia di "Guardieladri"
Una tematica che da sempre mi affascina è il gruppo, specialmente in fase adolescenziale. Per come l’ho vissuta io è come essere in un branco, un tutt’uno con quelle persone che consideri fratelli ma che, prima o poi, spariranno ognuno per la propria strada. Come in un branco, ognuno ha il proprio ruolo e ognuno attinge dall’altro; si diventa un’unica entità, un micromondo in cui è semplice sentirsi sé stessi. L’uomo, d’altronde, è un animale sociale, spinto da quei bisogni primari che ogni essere vivente possiede, tra cui quello di sopravvivenza. Ed è grazie al branco, in quell’unico “corpo” fatto di risate, litigi ed esperienze significative, che si riesce a sopravvivere in questo mondo così complicato. Ho voluto inserire queste circostanze all’interno del mio cortometraggio, cercando di creare un racconto capace di valorizzare ciò che accade in queste compagnie, come i ruoli, i contrasti tra le personalità, la violenza, il gioco, il machismo e l’attrazione. L’idea per il cortometraggio l’ho avuta dopo aver letto un articolo di giornale che riportava il seguente titolo: “Giocano a guardie e ladri con una pistola vera, sedicenne ucciso in casa per errore dal suo amico." La tragedia si era consumata in un’abitazione di Salt Lake City, nello stato dell’Utah, in Usa. Un diciottenne stava inscenando un arresto per gioco quando dalla pistola è partito un colpo che ha raggiunto l’amico più giovane uccidendolo sul colpo. Secondo la polizia l’amico credeva che la pistola fosse scarica quando è partito il colpo mortale. Questo fatto di cronaca nera mi diede l’idea di fondo per creare il mio racconto, vedendolo perfetto anche per un cortometraggio, format che spesso limita e semplifica narrazioni che hanno bisogno di molto più tempo per essere raccontate. Dopo aver idealizzato il contesto, ho iniziato una lunga fase di ricerca, cercando di capirne il più possibile di questo periodo così travolgente, soprattutto dal punto di vista psicologico. Ciò che mi premeva era di mostrare un episodio violento di formazione di un piccolo gruppo di amici nella loro quotidianità, superficiale e profonda allo stesso tempo. La sfida era quella di non far risultare il tutto banale e scontato, soprattutto il finale. Oggi giorno noi spettatori siamo già educati a questo tipo di vicende; la morte di uno dei personaggi è facilmente prevedibile, soprattutto se presenti pistole e ragazzi imprudenti. Visto che iniziava come un gioco, perché non farlo finire come tale, aggiungendo meschinità ed infamia innocente tipica degli adolescenti? Pensai fosse molto più potente della morte di uno dei personaggi.
Ho deciso di focalizzarmi su quella fase dell’adolescenza che viene definita in psicologia emerging adulthood, ovvero quell’età compresa tra i 19 e i 25 anni, in cui non si è più un vero adolescente ma nemmeno un adulto e tutti gli effetti. Dal punto di vista soggettivo, l’emerging adulthood si caratterizza per essere, nella percezione di coloro che la stanno vivendo, una fase di passaggio, in cui l’esplorazione dell’identità, maggiore libertà e instabilità sono all’ordine del giorno. In Italia (nonostante sia un fenomeno mondiale) è un tema molto discusso, divenuto visibile negli ultimi decenni e causato da precisi cambiamenti socioeconomici e culturali. Questa età mi dava l’opportunità di sviluppare dei personaggi molto più strutturati e definiti rispetto che a dei ragazzini. Nel mio caso, per la creazione dei personaggi, è stato fondamentale attingere a conoscenti ed amici per delineare profili i più veritieri possibili. Basarsi su persone vicine a me infatti, soprattutto gli amici, l’ho trovata la soluzione migliore per dare quel tocco di realismo che volevo, essenziale per la buona riuscita del cortometraggio.
Gabriele Manzoni