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Note di regia de "La bella stagione"


Note di regia de
Ho incontrato delle persone straordinarie.
Trent’anni fa hanno fatto un’impresa rara: prendere una piccola squadra che non aveva mai vinto e portarla alla vittoria dello scudetto della Serie A. Erano una squadra bollata come di viziati, di promesse che non sarebbero mai state mantenute, di fighetti che pensavano più a divertirsi che a giocare. Avevano la “maglia più bella del mondo” e se l’erano fatta fare — unici anche in questo — in cachemire. E invece hanno fatto ricredere tutti quanti, quella primavera del 1991. La squadra è la Sampdoria e questa storia naturalmente si svolge a Genova. Ecco: prima di incontrarli pensavo che l’impresa della loro vita fosse appunto quella — mai più replicata — dello scudetto. Mi sbagliavo. L’impresa vera l’hanno fatta col tempo. Hanno capito di essere una banda di fratelli e che la loro fratellanza non aveva molto a che fare con vittorie, sconfitte, pareggi. O con gol e parate, a dirla tutta. La loro fratellanza è quella di persone che hanno condiviso un sogno e da lì sono partite costruendo tutta una vita. Assieme, nei momenti belli e nei momenti difficili. Sempre, e per sempre. Ho incontrato delle persone straordinarie. Si chiamano Luca Vialli e Roberto Mancini. E con loro, accanto a loro, ho visto Gianluca Pagliuca, il portierone. Il suo vice Giulio Nuciari, una vita in panchina. E poi: Moreno Mannini, Pietro Vierchowood, figlio di un soldato dell’Armata Rossa che decise di diventare italiano. Luca Pellegrini, il capitano. Ivano Bonetti e la sua riserva inesauribile di scherzi. Marco Lanna, l’unico di Genova, così legato al gruppo che ora della Samp è il presidente. E ancora: Giuseppe Dossena, Attilio Lombardo detto Popeye, Fausto Pari, Giovanni Invernizzi e infine il brasiliano dall’età indefinibile: il simpaticissimo Toninho Cerezo. Li ho accompagnati nei loro ricordi, nelle loro battaglie, nei loro sogni realizzati e nei loro sogni spezzati. Ho imparato tanto, forse di più che in tutti i film fatti prima di questo. Ho imparato che aveva ragione il loro mentore, il mitico Vujadin Boškov, quando diceva che “pallone entra quando Dio vuole” e “partita finisce quando arbitro fischia”: inutile fare giri di parole o nascondersi dietro scuse e casualità. Ho imparato che un uomo speciale come Luca Vialli può affrontare una dura malattia riuscendo a dare forza e coraggio a tanta gente, regalando a piene mani i suoi sorrisi e le sue lacrime. E infine, io li ho visti ritrovarsi l’anno scorso in campo, il giorno della finale dei Campionati Europei: l’allenatore Roberto Mancini aveva chiamato accanto a sé i vecchi pistoleri per rifondare lo staff dirigenziale della Nazionale. Ho visto Vialli e Mancini abbracciarsi e piangere, per la gioia e per il dolore, per la loro buona e per la loro cattiva sorte. E ho capito che La Bella Stagione non è un film solo sul gioco del calcio. È un film sulla forza delle relazioni, che sono state messe a dura prova in questi anni calamitosi. È un film su quello che possiamo essere, se solo riusciamo a trovare il gruppo giusto, il posto giusto, il momento giusto. Non per diventare eroi, quella è retorica falsa e inutile. Ma per diventare, a fatica, anno dopo anno, un esempio per tutti quelli come me che ancora — come diceva Hemingway — hanno bisogno di una luce per la notte.

Marco Ponti