Note di produzione de "La bella stagione"
La Bella Stagione è un docufilm che in sala avrà la durata di una partita di pallone (più recupero), ma che nella vita reale ha avuto una gestazione lunga quanto una stagione. È stata una produzione intensa, in costante oscillazione tra lo stupore, l’allegria e la nostalgia, nel senso più puro e leggero del termine. In questi mesi abbiamo provato a ricostruire l’archetipo di una vera e propria impresa sportiva, che ha visto trionfare per la prima volta nel Pantheon del calcio italiano una “piccola”. Una piccola che ha saputo farsi subito grande tra i grandi, sistemando a domicilio corazzate come Napoli, Milan, Inter, pretendenti al titolo ben più quotate. Ma al di là del risultato sportivo finale, consultabile su qualsiasi almanacco, abbiamo scoperto, intervista dopo intervista, il segreto di questa vittoria. Un segreto che non è da ricercarsi nelle tattiche, negli schemi o nelle qualità individuali, che certamente erano di alto livello, bensì nelle storie e negli sguardi dei protagonisti. Può sembrare retorico, ma la Samp vinse quello scudetto grazie all’amicizia, alla furbizia e alla generosità dei suoi calciatori; uomini limpidi, ancora estranei allo star system che oggi domina il l’industria sportiva. La Bella Stagione parla di calcio, certamente, ma in realtà c’è ben altro in gioco. C’è l’irriverenza di Bonetti che si prendeva gioco dei fusi orari per andare a far serata allo Studio54 di New York. C’è l’età di Toninho Cerezo, che in realtà non siamo ancora riusciti a scoprire con esattezza, ma va bene lo stesso. C’è l’elegante malinconia di capitan Pellegrini che alcune vicende proprio non vuole dimenticarle, c’è la storia da romanzo di Marco Lanna che da giovane talento di quella rosa scudettata ora, trent’anni dopo, ha preso le redini societarie e guida la nave come presidente, c’è la durezza di Pietro Vierchowod che si commuove quando ci ricorda di essere stato il difensore più veloce della Serie A, ma anche quella di Pagliuca che quello Scudetto continua ancora oggi a dedicarlo alla mamma. E poi ci sono Vialli e Mancini, due giganti del calcio italiano, che se a noi hanno donato tempo e ricordi, a Boskov, Mantovani e i tifosi doriani hanno regalato un sogno lungo una vita. Più che squadra di viziati, quella fu una squadra di artisti. Tuttavia, la certezza forse più importante che questi mesi di produzione ci hanno regalato è che non è vero che la Macaja di Genova porta male e indebolisce lo stato di forma degli atleti, che il sole ligure è un elemento di distrazione e che la Riviera non è per i vincenti. Da Genova si vede il mare, e dove c’è il mare tutto diventa sempre più bello. E più realizzabile.