BEATRICE SCHIAFFINO - “Recitare significa sentirmi libera”
Si divide tra cinema e teatro, attrice, autrice, presentatrice e counselor,
Beatrice Schiaffino è in sala con "
Do ut des" di
Dario Germani e Monica Carpanese, un revenge movie che racconta la violenza di genere, una storia torbida che riporta alla mente tragici fatti di cronaca nera, un film dal forte impatto emotivo. L’attrice ligure si è formata a Genova, a Londra e a Los Angeles, laureandosi con Lode in “Discipline dello spettacolo e della comunicazione” a Pisa con una tesi sul multimediale digitale applicato alla scena teatrale, per poi trasferirsi a Roma. Amante dei libri, dei viaggi e del mondo dell’arte, inizia la sua carriera in teatro, per poi continuare in ambito televisivo e cinematografico. L’abbiamo vista nella serie Amazon Prime “Bang Bang Baby” per la regia di Michele Alaique, nei panni di Fabrizia a fianco di Massimo De Lorenzo e Giorgia Arena, nel film “Il ritorno” di Stefano Chiantini, a fianco di Emma Marrone, e nel 2020 è stata co-protagonista, insieme a Pierfrancesco Favino, del cortometraggio d’autore “Riva in the movie”, per il Gruppo Riva Ferretti, presentato in concomitanza della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2020.
Beatrice Schiaffino in “Do ut des” interpreta Emanuelle, misteriosa donna che instaura un ambiguo rapporto di seduzione con il protagonista, Leonardo, un imprenditore senza scrupoli.
Da donna come è stato interpretare un personaggio come Emanuelle in un film che tratta la violenza sulle donne in un modo così cruento?
“Ti ringrazio per la domanda, è stato molto importante perché sono tematiche che finalmente si affrontano di più rispetto al passato, quindi è stato per me veramente un onore poter dare vita a un personaggio così ambivalente, segnato dal dolore a tal punto da reagire con violenza. Devo dire che dal punto di vista personale è stato un lavoro di grande ricerca, non è stato scontato e facile rimanere così a lungo in certe emozioni, nella rabbia, nel bisogno di vendetta, ma al tempo stesso devo dire che è stata una bella occasione per vivere una sorta di catarsi insieme al personaggio, anche io sono arrabbiata rispetto a certe ingiustizie, a certe violenze, e sicuramente come donna avere questo spazio è stato importante perché il cinema ti permette anche di dare vita a delle parti di te che devi mettere da parte”.
Un film che turba, spingendo a una riflessione profonda…
“La cultura patriarcarle è così radicata dentro di noi, dentro la nostra società, questo è un film che vuole far riflettere su questo aspetto, cioè su quanto la violenza porti ad altra violenza, in primis la violenza di chi non rispetta l'altro, come un uomo che vuole “possedere” una donna a prescindere che lei sia consenziente o meno, è un film che turba ed è uno degli obiettivi centrali di questo progetto. L'arte ha anche questo compito, oltre a quello di evasione e intrattenimento, quello di scuotere l'anima e risvegliare il senso critico”.
Come hai affrontato le scene di nudo?
“Noi attori studiamo anche come stare a nostro agio con il nostro corpo, come abbandonare quel classico senso del pudore che si ha nel quotidiano. Sicuramente è stata un'esperienza nuova ma al tempo stesso mi sono sentita molto a mio agio, sul set c’era una troupe ridotta quando giravamo scene più delicate, c'è stato un clima molto tranquillo. Io non provo disagio, alla fine il mio lavoro è interpretare delle persone, e la sessualità fa parte della nostra vita. E con i colleghi mi sono trovata a mio agio, ho instaurato subito un rapporto di fiducia nonostante non ci conoscessimo”.
“Do ut des” mi ha ricordato un certo genere di film, come quelli diretti dal regista Adrian Lyne, che mescolano sesso, violenza, follia, un esempio è “Attrazione fatale”, sei d’accordo con me?
“I protagonisti di “Do ut des” sono conflittuali, ambivalenti, suscitano emozioni contrastanti, come in “Attrazione fatale”, il personaggio interpretato da Glenn Close è incredibile, fa paura e al tempo stesso è molto attraente. Adoro questo genere di film, e in testa avevo anche questo tipo di personaggio quando preparavo il ruolo di Emanuelle”.
Come è nata in te la passione per la recitazione?
“Sin da piccola ho sempre avuto tantissima fantasia e per fortuna la mia creatività è stata anche supportata dai miei genitori che mi hanno mandato ai primi laboratori teatrali. Poi crescendo ho frequentato la G.A.G. Gruppo artisti genovesi, e poi ho scoperto Londra, ho frequentato un'accademia internazionale, la London Drama School, e poi da lì, a 17 anni ho iniziato a lavorare a teatro da professionista, mentre il cinema è arrivato più tardi, ero all'università e una ragazza mi chiese di fare la protagonista del suo corto, tra l'altro si trattava anche in quel caso di violenza di genere. In realtà è un argomento che mi porto dietro anche nei miei progetti a teatro perché secondo me è necessario parlarne, mi tocca profondamente. Per esempio, lo spettacolo che sto portando in giro, “La papessa”, da un testo di Andrea Balzola, diretto da Carmen Di Marzo, è un monologo intenso sulla figura della papessa Giovanna che è realmente esistita ed è stata relegata poi dalla Chiesa a leggenda. Una donna che pur di studiare e affermare la propria identità si finge uomo, era il Medioevo e una donna a malapena poteva parlare. È uno spettacolo molto forte sull'emancipazione, sulla formazione identitaria”.
Hai altri progetti in corso?
“Sto mettendo in piedi un nuovo spettacolo dal titolo “L'imperatrice”, sulla contessa di Castiglione, lei è stata molto di più di quello che si crede, è stata la prima donna a giocare in borsa, l'inventrice del ritratto di moda, me la immagino un po' come una Chiara Ferragni di fine ‘800. Aveva capito le dinamiche del potere, usava la sua bellezza in modo anche scaltro, da una parte veniva usata e dall'altra usava, e quindi mi interessa molto questo doppio aspetto, di come alcune donne nella storia hanno scandagliato ogni regola del loro tempo pur di affermarsi e farsi valere. Questo è un percorso che sto seguendo con l'autore Andrea Balzola, è un progetto multimediale che si chiama “Free women suite – Il coraggio delle donne in sette carte teatrali”, ed è un progetto che svilupperemo negli anni, tratteremo più figure, il fil rouge sono le sette carte dei tarocchi, sono sette arcani femminili maggiori, e attraverso ogni carta ci chiediamo chi c'è dietro, quale storia ha da raccontare questa donna, quale archetipo incarna, rintracciamo nelle figure che raccontiamo tutti gli elementi che la carta suggerisce, quindi c'è un lavoro molto interessante di ricerca sui personaggi. Debutteremo a Roma nella prossima stagione”.
E al cinema dove ti vedremo prossimamente?
“Ho appena girato un thriller, s’intitola “Phobia”, opera prima di Antonio Abate, sono coprotagonista accanto a Jenny De Nucci”.
Ci sono delle attrici che ti ispirano?
“Sì, Cate Blanchett, Tilda Swinton, Hilary Swank, mi piacciono le attrici che sono coraggiose nella scelta dei ruoli, loro hanno interpretato anche personaggi maschili, e utilizzano la loro arte in modo costruttivo, le trovo delle donne di grande ispirazione oltre che delle grandi attrici”.
Cosa significa per te recitare?
“Quando recito respiro bene, sono libera, mi sento nel posto giusto”.
10/05/2023, 08:25
Caterina Sabato