Note di regia di "Ugolino"
Ugolino e Ruggieri sono i protagonisti di questa storia. Sebbene la loro biografia sia suffragata da prove storiografiche, la terribile fine del conte per mano dell’arcivescovo, in tutti i suoi tragici aspetti deve la sua Fama e la sua diffusione esclusivamente a Dante che collocò Ugolino e Ruggieri all’inferno nel girone dove vengono puniti i traditori della patria. Sul piano dei contenuti “Ugolino” è una tragedia in cui vengono drammatizzati gli effetti fisici e psicologici dell'ambizione politica e della passione del desiderio. Ugolino e Ruggieri sono due personaggi che incarnano l’inferno stesso. Vivono di contrasti e l’elemento che li accomuna oltre alla passione dell’odio reciproco è il dubbio e l’incertezza. Entrambi in forme diverse antepongono il piacere e il godimento a ciò che razionalmente è più giusto. Sul piano visivo la narrazione punta al realismo intenso, mostrando solo ciò che appare. Allontanandosi dal concetto di bellezza e perfezione classica, punta ad un luogo dove la realtà prende il sopravvento con tutta la sua drammaticità.
Un’attenzione particolare è riservata alla luce. Con un chiaro riferimento Caravaggesco la tendenza è di minimizzare il peso degli sfondi per circondare gli ambienti di oscurità. Le immagini sembrano affiorare dal buio, le figure appaiono grazie a sprazzi di luce: una fiaccola, una fessura tra le mura delle prigioni.
L’immagine che si coglie è solo una parte della realtà: solo quel tanto che la debole illuminazione ci consente di vedere. Il resto rimane avvolto dall’oscurità, ossia dal mistero. È il buio che domina in queste mondi, quasi ad accentuarne la drammaticità, è una specie di notte calata sul mondo, per assorbirne i lati più gradevoli, e lasciarvi solo paura e terrore.
La regia punta a scalfire la superficie del visibile, del consueto, del rassicurante puntando in profondità ad analizzare le sovrapposizioni dell’animo dei personaggi, delle loro verità e del loro rapporto con il reale. I richiami alla Cristianità sono frequenti in particolare nelle rappresentazioni visive.
Ugolino ripercorre nelle prigioni un percorso di violenza e atrocità con lo stesso epilogo della via crucis. La sua morte (di Ugolino) purtroppo non rappresenta la salvezza per i suoi figli che anzi seguiranno la sua stessa sorte.
Tuttavia il terremoto che segue la morte di Cristo prende forma mentre Ugolino intona un canto funebre per i suoi figli; un suono ripetitivo e lacerante, urticante per l’anima delle guardie, ora in preda al dolore, al rimorso per le azioni fatte. Sono vittime anch’esse risucchiate da quel vortice di odio dominato da un impulso sfrenato e incontrollabile, travolgente di cui Ugolino e Ruggeri ne sono i fautori.
Ugolino morto ma il seme del conflitto continua a germogliare nelle parole dell’arcivescovo: “non sono io che agisco è il mio desiderio che mi governa che mi tormenta ma che mi anima e mi rende vivo. La visione generale è caratterizzata da un approccio basato sulla spontaneità, sul selvaggio e sulla libertà da schemi composti. In linea con le teorie artistiche romantiche di fine 700, l’estetica ricercata tende ad un tono sublime, a quel sentimento, misto di terrore e piacere, che rappresenta qualcosa di eccelso e spettacolare, capace di colpire e “innalzare” l’animo dello spettatore. Diventa sublime ciò che turba e persino spaventa ma che inspiegabilmente, e proprio per questo motivo, attrae.
Un viaggio avvincente in cui la struttura stessa si fa contenuto. Il testo accoglie al suo interno una costellazione di rimandi, dei veri e propri varchi, che ci conducono in direzioni tese, inaspettate in grado di amplificare la nostra esperienza. I dialoghi sono caratterizzati da riflessioni interiori, ragionamenti fatti con sé stessi cercando nel razionalismo morale la strada per decidere consapevolmente come agire e come comportarsi. Tuttavia anche conoscendo il bene si può finire a fare del male. Nel passo della lettera ai Romani (7, 18-25) San Paolo si definisce «infelice».
Racconta ai suoi fratelli di Roma la lotta che lui ha dentro di sé: “Io so che nella mia carne non abita il bene. C’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. E questo male lo fa il peccato che abita in me”. È la lotta dei cristiani, è una lotta moderna, è la lotta dell’uomo.
Manuele Trullu