LA LUNGA CORSA - Correre rimanendo fermi
Giacinto (
Adriano Tardiolo) ama correre ma la sua esistenza si è sempre svolta in carcere: figlio di due detenuti, lui dietro le sbarre non solo ci è nato, ma ci è pure cresciuto. E nel momento di spiccare il volo, di lasciare per sempre quelle mura che per tutti rappresentano un incubo, torna indietro, tra le braccia del capo dei secondini, Jack (
Giovanni Calcagno), burbero ma buono, il solo che lui riconosce come padre. Giacinto corre in carcere perché non è capace di correre nella vita e le sbarre rappresentano la sua libertà.
“
La lunga corsa” di
Andrea Magnani è una commedia leggera e surreale, una fiaba che diventa metafora dell’impossibilità moderna di affrontare davvero la vita, tra timori atavici e la paura di approcciarsi a un’umanità sempre più violenta e selvaggia, più dell’ergastolana Rocky, da sempre una figura amica per Giacinto, nonostante l’aspetto minaccioso e un passato in cui si è macchiata di colpe indicibili. Anche il mentore e “padre” di Giacinto, Jack, che ha comunque una vita fuori dal carcere, sembra imprigionato in questo luogo “non luogo”, una comfort zone dell’esistenza.
Giacinto è un disadattato, una sorta di “freak” che ricorda i tanti personaggi che abitano i film del regista americano Wes Anderson, dai quali è chiaro che Magnani abbia tratto ispirazione: nell’atmosfera fiabesca, nei personaggi eccentrici, come la direttrice del carcere interpretata da
Barbora Bobulova, nelle inquadrature e nella scenografia.
Andrea Magnani sembra alla fine non trovare una vera direzione, rimanendo anche lui come i suoi protagonisti in un limbo, troppo “ingabbiato” in un racconto fiabesco, nella stasi del protagonista che “corre rimanendo fermo”, non dando una vera svolta alle vicende dei personaggi, che rimangono sempre loro stessi in un mondo che fuori continua a cambiare.
24/08/2023, 14:38
Stefano Amadio