Note di regia di "Au Revoir, Melograno"
Un giorno ho detto ad una mia amica: “Ho paura di morire”, e lei mi ha risposto con tutta onestà e con una vena ironica: “Se capita non sarà più un tuo problema, ma lo sarà per gli altri”.
Au Revoir, Melograno è il titolo di questo mio ultimo cortometraggio, dove Melograno ha volutamente la M maiuscola in quanto è a tutti gli effetti un personaggio primario del racconto.
Prende, infatti, le veci del compianto Stefano attraverso Gli occhi di Beatrice. C’è chi direbbe che quello non è altro che un albero di melograno e che la ragazza abbia perso il senno in seguito alla perdita del suo ragazzo, Stefano per l’appunto.
Ma Beatrice non ci vede solo una pianta, ci vede un vaso con tanto di naso e bocca a far da testa ad un corpo umano. Un ibrido dotato di sentimento che la segue, come un cane fa con il suo padrone, nella sua elaborazione del lutto. Uno spettro, per meglio dire, vivo e rassicurante, che abbraccia la solitudine di Beatrice cullandola con il suo silenzio.
La storia ci parla di questo. La solitudine di una giovane donna, o più nello specifico di diverse donne (oltre a Beatrice, Emma e Agata), che hanno rappresentato per Stefano una figura importante e che adesso si prestano a confrontarsi con la protagonista per aiutarla ad andare avanti e affrontare il suo dolore.