Note di regia di "Quir"
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Una libertà giocosa, che sa alleggerire le tensioni.
Che preferisce il frammento alla totalità.
Che preferisce il sorriso, che sdrammatizza il peso di una realtà pur pesante.”
(Don Cosimo Scordato, prete di Ballarò, Palermo)
Si comincia sempre dall’amore. Io questa volta mi sono “innamorato” di Massimo e Gino.
È iniziato tutto per caso, passando un giorno davanti al Quir, la loro bottega in un vicolo di Ballarò, un quartiere di Palermo. Ben presto ho capito che quello che doveva essere un negozio dove si vendono borse e altri oggetti di cuoio in realtà era una specie di confessionale, o un pronto soccorso per anime in cerca di aiuto, con una storia di lotte per i diritti LGBT lunga 40 anni. Mi sono così messo all’ascolto e da questo microcosmo i personaggi si sono presto moltiplicato, diventando pezzi di un puzzle da costruire sullo sfondo di un paesaggio (la città di Palermo). Sono così arrivato anche Vivian ed Ernesto e poi anche Charly.
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Il problema non è l’identità sessuale, ma l’identità di una persona, che deve diventare se stesso, in qualsiasi rapporto si coinvolga.”
(Massimo Milani)
Ho cercato di pormi di fronte a queste vite seguendo la lezione per cui non si tratta mai di riprodurre la realtà cosi come è, o di piegarla a una concezione ideologica precostituita, ma di filtrarla attraverso il prisma della coscienza. A determinare il “realismo” non sono mai le scelte dei soggetto(per esempio la lotta per i diritti LGBT) ma il modo in cui essi le affrontano. Liberando quindi lo sguardo della camera da punto di vista predeterminato, senza descrivere i personaggi ma piuttosto facendoli emergere dai puri eventi fenomenologici in cui agiscono ho voluto con pochi tratti essenziali arrivare al cuore delle singole storie. Il legame tra i personaggi del film non è dato dal fissarsi di posizioni o di centri focali ma dal movimento, dall’irrequietezza tra i poli, dalla loro precarietà esistenziale. Le singole storie si svolgono tu
Ogni storia va “in cerca” di significato aspirando, come il film, a ricomporsi in una geometria il cui senso è dato dal tutto, dai singoli frammenti che attraverso un lavoro di incastro tessono il filo del discorso. Il montaggio diviene così allegorico, interpretativo: ricorre anche alla parodia e all’ironia
come mezzi stlistici. Il fine era di arrivare ad una specie di straniamento empatico in cui le emozioni dei personaggi riescano a coinvolgere gli spettatori senza appiattirsi sulla mera riproduzione naturalistica.
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O si è felici o si è complici”
(Nino Gennaro)
Massimo Milani mi ripeteva spesso questa frase del suo amico poeta morto di Aids tanti anni fa,
facendomi notare l’importanza di affrontare le tematiche di genere da un punto di visto, diciamo,
“positivo”. Come giustamente fa notare Paul Preciado, si tratta di evitare “uno sguardo che uccide” che lui definisce “necropolitico”, che è quello che spesso si usa nella rappresentazione cinematografica del mondo Queer. Io spero di essere riuscito a trasportare nel mio film la gioia attiva, come direbbe Nino Gennaro, che emana da ognuno dei corpi che attraversano il Quir.
Nicola Bellucci