Note di regia di "30 Anni (di Meno)"
Quante volte ci siamo sentiti dire, abbiamo detto o solo pensato: “Se avessi qualche anno di meno”? A tutti è capitato di riflettere sulle conseguenze che determina il passare degli anni sulle nostre forze psicofisiche, sul nostro aspetto, così diverso da quello che certe fotografie del passato ci restituiscono, impietose. E se per magia, quella magia che solo un film può accettare, potessimo riavere un corpo efficiente, giovane, fresco, privo del logorio degli anni che passano? Cosa faremmo? Se una semplice pillola potesse ridarci fisicamente i nostri trent’anni, come utilizzeremo questa inaspettata “seconda occasione”? Che individui saremmo oggi, dotati della forza di ieri, in un corpo giovane con la conoscenza di un vecchio? Questo è il patto che il film stringe con chi guarda, costringendolo a chiedersi cosa farebbe se capitasse a lui. “Se avessi la tua età spaccherei il mondo” era solito dirmi mio nonno, quand’ero adolescente e in quella sua consapevolezza adulta, oggi, mi ritrovo, quando faccio i conti con i limiti imposti dall’età. E vorrei avere indietro le energie dei miei anni migliori. Ma ragionando sul paradosso, così come fanno i protagonisti del film, si può scoprire che tornare improvvisamente trentenni, dopo un legittimo orgasmo transitorio, ci porrebbe davanti ad una serie di vincoli e criticità, legati anche e soprattutto al non poter divulgare questo nostro superpotere a chi ci sta accanto da una vita, e non capirebbe. Un “dono” di cui, tra l’altro, non conosciamo durata ed effetti collaterali, ma che ognuno di noi correrebbe il rischio di usare, fosse anche solo per una notte. In fondo l’essere umano è energia, e quando ne siamo provvisti tutto ci sembra possibile perché ci sentiamo invincibili. Quella sensazione che coincide con le nostre prime volte e che col tempo va lentamente sfacendosi, lasciando in noi ben altre consapevolezze. Il film non ha risposte sul tema, non deve, ma genera domande con la forma di racconto che racchiude nella risata un secondo fine nascosto: far riflettere. La commedia, che crea situazioni comiche, serve sì a far sorridere ma anche a gettare l’esca della riflessione su quanto incida, sulle nostre vite, non solo la nostra età anagrafica, ma anche il periodo storico/ sociale in cui viviamo le nostre diverse età. Così ecco che i sessantenni di oggi, di colpo trentenni, si ritrovano a condividere con i nuovi coevi esperienze che fino al giorno prima avevano criticato, perché non più accessibili o perché nessuno si sforza davvero di porsi nei panni (e nelle diverse età) degli altri. Che siano figli, amici o perfetti sconosciuti. Quello che fa di noi ciò che siamo sono le nostre esperienze formative, le nostre rughe, le nostre conquiste, i nostri errori. Soprattutto quelli. A qualcuno di questi - errori compiuti inconsapevolmente anni prima - ecco che la vita dà ai nostri protagonisti l’occasione di porre rimedio, partendo da ciò che spaventa ognuno di noi, con l’andare del tempo e la corruzione del corpo: la malattia.
Via gli acciacchi, via gli impedimenti; dotati di nuove energie non andremmo forse anche noi, come loro, a conquistare il mondo, facendo i conti con ciò che non possiamo cancellare perché già vissuto, e cioè che il mondo di cui vogliamo impossessarci è molto più piccolo e personale: è il nostro. Da quello non possiamo scappare, non c’è pillola magica che possa cancellarlo perché è dentro di noi, e si sposta con noi, che lo vogliamo o meno, come l’orizzonte. Che si abbiano trenta o sessant’anni. Ridere di tre sessantenni che si ritrovano a vivere improvvisamente una seconda giovinezza è esorcizzare l’ineluttabile, apprezzando appieno ciò che Anna Magnani disse a proposito dei segni che il tempo le aveva lasciato sul volto, e che il malcapitato truccatore voleva eliminare: “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C’ho messo una vita a farmele!” Quanto alla regia, a dispetto di un incipit dal sapore thriller, il cui scopo è quello di narrare un antefatto misterioso e sconcertante (i tre protagonisti anziani che, sorpresi dall’antagonista, all’arrivo dei poliziotti sono diventati tre trentenni, negli stessi abiti generosi dei loro corrispettivi adulti), il racconto filmico è impostato con la semplicità di una commedia; la macchina da presa sparisce, accompagnando discreta la recitazione, in funzione dei tempi comici e del pathos lirico e drammatico, che lo sviluppo narrativo della sceneggiatura presuppone. Con un occhio di riguardo all’empatia con gli attori, due diversi per ogni carattere (un sessantenne ed il suo corrispettivo trentenne), cercando di favorire similitudini, tic e posture che rendano riconoscibili entrambe le versioni dello stesso personaggio.
Mauro Graiani