GLORY HOLE - Un buco profondo per nascondersi
Come sono fatti i bunker in cui si nascondono, spesso per anni, i boss mafiosi per sfuggire alla cattura o ai rivali? E come ci si vive, davvero, lì dentro?
Da queste domande parte il lavoro del documentarista
Romano Montesarchio, per la prima volta alla regia di un film di finzione (la trasformazione del progetto è avvenuta scrivendolo, naturalmente) con "
Glory Hole", teso e sorprendente thriller girato in pochissimi spazi, con pochissimi attori e con mezzi contenuti ma non per questo meno convincente ed evocativo.
Un "peccato originale" che deve essere espiato, se possibile. Un errore fatale, il più grave (per chi giudica, per chi ha potere di vita e di morte) tra i tanti altri mai fatti in una carriera criminale, quella di Silvestro, fedelissimo colletto bianco della camorra (lo interpreta
Francesco Di Leva, sempre capace di dare anima e credibilità ai suoi personaggi).
La storia procede tra due livelli temporali: si parte dall'oggi, in cui grazie all'amicizia di un prete in crisi e di un proprietario di club privé (rispettivamente
Mario Pirrello e Roberto De Francesco, ottime scelte) Silvestro trova protezione in un bunker in mezzo al nulla, dove proteggersi ma anche in cui vedersi "murato" a tempo indefinito, con tutto ciò che una situazione simile può determinare.
E poi lo ieri, che sempre più spesso entra nei ricordi dell'imprigionato e sempre più (ma fino a un certo punto) chiarisce le dinamiche a noi pubblico: un amore proibito con la giovanissima figlia del capo, il pericoloso doppio gioco tra due vite, una novità difficile da accettare per chi è sempre stato così ligio al dovere (saranno, come direbbe Sorrentino, le "conseguenze dell'amore"?).
"
Glory Hole" è un lavoro che sa sfruttare al meglio ogni suo potenziale limite, e grazie a questa consapevolezza si presenta come un thriller capace di avvincere durante la visione e restare a lungo nella mente e titoli di coda conclusi. Un esordio prezioso, che va sostenuto.
12/07/2024, 13:05
Carlo Griseri