Giuseppe Schillaci
"Bosco Grande" di Giuseppe Schillaci è uno dei titoli italiani selezionati alle Giornate degli Autori: è la storia di Sergione, tatuatore cinquantenne di 260 Kg che ha vissuto tutta la vita a Palermo, nel quartiere popolare di Bosco Grande.
Giuseppe, come e quando hai conosciuto il tuo protagonista? Sembrate amici di lunga data...
Ho conosciuto Sergio e il giorno dopo ho cominciato a girare, ma abbiamo fatto cinque anni di riprese quindi la relazione è diventata poi molto profonda, ci sentivamo quasi giornalmente.
Ci siamo conosciuti grazie a Fabio Sgroi, fotografo che ha lavorato anche con Letizia Battaglia, una decina di anni fa, parlando del suo libro "Palermo 1984–1986, Early works", un lavoro quasi amatoriale fatto coi suoi amici punk-dark in cui ha ritratto la scena underground molto provinciale. E' un libro che ho molto amato, gli ho chiesto cosa facessero quelle persone dopo tanto tempo: molti erano andati via, ma mi parlò di Sergio, una figura mitica per tanti motivi.
Quando l'ho incontrato la prima volta, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo subito capiti, era molto vitale nonostante la sua situazione, poi nel tempo ha avuto alti e bassi, anche per la sua invalidità e le sue dipendenze. Lui era la scena che sopravviveva, il cuore di tutto.
Ammetto che non sapevo dell'esistenza a Palermo del quartiere Bosco Grande...
Si tratta di un quartiere di Palermo davvero poco conosciuto, di un rione noto solo agli abitanti storici: fino agli anni '80 ospitava tutti i classici riti da rione (la festa del santo patrono, concertini...), poi è cambiato tantissimo con la gentrificazione del centro "buono" di Palermo, si è completamente imborghesito. Anche a livello toponomastico nessuno lo conosce: andando oggi in queste quattro viuzze si vede però che c'è un sottobosco diverso dalla vita borghese, si vive ai margini della legalità ma c'è una rete sociale piena di vita e di rapporti diretti, è ancora molto punk anche se in senso lato.
Sono rimasto molto affascinato, e ammetto che da emigrato mi ha emozionato, mi ha fatto tornare in contatto con la Palermo popolare, antica e postmoderna, cui mi sento molto legato.
Inoltre Bosco Grande è una sorta di "mondo di mezzo" in cui continua a sopravvivere uno spirito ribelle e indipendente. La questione dell'esserci, del rimanere o andare, mi tocca da vicino perché a 20 anni sono andato via da Palermo, una città che ti avvolge e ti accoglie, in cui tutto sembra semplice e confortevole ma che per me era una sorta di gabbia dorata...
Era anche il titolo perfetto per il tuo documentario, quindi.
Sì, anche per l'idea metaforica del suo bosco interiore, con le ombre sue, e anche ovviamente per la grandezza letterale di Sergio. Mi piace mantenere l'idea, anche favolistica, di una terra senza limiti precisi che non si sa neanche che esista o dove sia, che puoi anche non notare ma che quando la noti ti apre un mondo.
Nelle note definisci Sergio il tuo co-regista, cosa intendi?
Perché era lui a far accadere le cose, coinvolgere le persone, mettere in moto gli eventi.Ma anche in senso artistico, era un regista assoluto:
Bosco Grande non è un documentario di pura osservazione né di interviste, è spurio, è un film di relazione, io entro pian piano in quel mondo e lui pian piano "scrive" il film...
Sergio sovrapponeva spesso la sua vita e il film, ne parlava a tutti, aveva un'idea chiara e una fiducia totale in me, fatto abbastanza raro.
Anche in montaggio ci stupivamo di quanto ci desse i tempi e capisse le situazioni, con una lucidità spaventosa nonostante la sua condizione: è stato per noi un centro magnetico grazie alla sua personaità carismatica.
Chi erano i punk di quella Palermo?
La Palermo dei tempi non era aperta a movida o feste per strada, gli spazi erano negati anche perché era pericoloso, c'era il coprifuoco alle 17 e una guerra di mafia in corso: loro avevano scelto di vivere in direzione ostinata e contraria, contro tutti, senza alcuna consapevolezza politica, erano giovani che volevano un'altra realtà, un altro mondo con altri valori diversi da quelli patriarcali dell'uomo forte...
I punk avevano la cresta, spesso erano truccati, in una cittò di provincia tutti li prendevano in giro, erano spesso maltrattati da famiglie, polizia e dagli altri gruppi.
"Bosco Grande" è il terzo e ultimo tassello della tua narrazione su Palermo?
Sì, lo è diventato facendolo. Mi sembra ora di avere esaurito le dimensioni che mi interessava raccontare: ho parlato di politica, mafia, credenze... qui metto insieme tutte queste dimensioni in una sorta di mondo di mezzo, Sergio incarna quasi tutta la città, Bosco Grande è Palermo, è la Sicilia, è l'Italia in un certo senso, è parte dell'italianità che non vogliamo vedere e che lui ostenta.
E' questo corpo abnorme, segno di grandissima sofferenza, che ha però anche un lato vitalistico incredibile legato alla commedia e allo sberleffo tipicamente italiano.
22/08/2024, 10:51
Carlo Griseri