Note di regia di "Familia"
FAMILIA è un melodramma nero, contamina diversi linguaggi tipici del cinema di genere: dal thriller psicologico, al cinema horror fino al film a tematica sociale. In questa contaminazione c’è il desiderio di sperimentare, coinvolgere lo spettatore, andare in profondità e rendere questo racconto universale. Il cinema, come strumento esperienziale, ci permette di conoscere microcosmi inaccessibili, ci permette di sviscerare le emozioni, aprire la narrazione ad una complessità di sguardo e di pensiero.
FAMILIA si pone questo obiettivo, raccontare la violenza, soprattutto quella psicologica e assistita; mostrarne le ferite profonde che segnano l’infanzia, per sempre.
C’è un filo sottile, un legame che unisce Gigi a suo padre, è un legame che sopravvive nel tempo e che porterà Gigi a rincontrare suo padre, mettendo a rischio gli equilibri dell’intera famiglia. Gigi è attratto da quell’ombra ma ne ha anche paura. Perché sa che in fondo quell’ombra gli appartiene e che non potrà mai liberarsene.
La violenza assistita, quella che Gigi ha vissuto da bambino, si trasforma in rabbia. Gigi diventerà a sua volta un uomo violento, avvicinandosi ai movimenti di estrema destra e facendo del fascismo una religione, una seconda famiglia, un luogo di appartenenza che gli dà sicurezza e conforto. Denunciare, uscire da contesti tossici relazionali, è un gesto non semplice, per nessuna donna o persona vittima di violenza fisica o psicologica. Non è facile per una donna rinunciare al proprio progetto di vita, dire di no al proprio compagno, superare i sensi di colpa, la vergogna, la paura di essere dalla parte sbagliata, la paura di essere giudicata o condannata. C’è ancora uno stigma sociale molto forte che impedisce a tante donne di denunciare. È il motivo per cui il personaggio di Licia, una donna che prova a reagire alle violenze subite, finisce per ripiombare nella stessa spirale, sopraffatta dal senso di colpa, tradita dallo stato e dalle istituzioni a cui si è rivolta. Perché esiste una violenza che è tutta istituzionale che abbandona queste donne al proprio destino, fino alle più tragiche conseguenze.
Essermi imbattuto in questo caso di cronaca, l’aver conosciuto la famiglia Celeste, mi ha permesso di iniziare una ricerca e una documentazione che si è estesa ai centri antiviolenza in tutta Italia. Aver esteso l’indagine e la ricerca verso i centri anti violenza mi ha permesso di avere un quadro più articolato e complesso in una narrazione che, come già detto, spesso risulta superficiale e confinato al dato cronachistico. Il film è anche un atto di denuncia, un monito ad ascoltare e intervenire ad ogni minimo segnale, ad ogni richiesta di aiuto; perché spesso le denunce e le segnalazioni finiscono nel pantano burocratico.
E la storia della famiglia Celeste ci racconta anche questo, una famiglia che viene abbandonata dalle istituzioni, che finisce per implodere su se stessa con le sue più tragiche conseguenze.
L’intera architettura visiva del film può essere sintetizzata in un unico ambiente che, a livello simbolico, racchiude l’intera narrazione. L’immaginario del film ruota attorno all’idea di carcere. Gigi è prigioniero di innumerevoli gabbie, prigioni che sono innanzitutto emotive. Visivamente
FAMILIA dovrebbe restituire, soprattutto sul piano scenografico, questa idea di compressione e prigione emotiva. Una periferia che è di per sé violenta, ai confini con la città, dove il cemento finisce e inizia l’aperta campagna romana. Un contrasto, un ossimoro visivo, capace di restituire la violenza del racconto. Una struttura fatta di quinte, soglie da superare, impedimenti, geometrie rigide da costruire. Per me qualsiasi operazione artistica deve essere subordinata all'emozione e al racconto cinematografico. Se si costruisce una base solida di realtà è possibile trasfigurare, utilizzare i generi cinematografici, senza perdere di intensità e valorizzando l’intera opera.
Un materiale drammaturgico così denso rischia di essere sovrabbondante, sovraccarico, perdere la sua forza ed emotività. Per scongiurare questo rischio è importante de-drammatizzare, dosare le emozioni, senza depotenziare il racconto cinematografico. È un lavoro importante perché la struttura ellittica, a tratti sincopata della sceneggiatura, ci pone davanti una scelta, una riflessione importante sul punto di vista. Nel mio cinema è molto importante stare vicino all’attore, esplorare i suoi stati psicologici attraverso il primo piano. Questa intenzione va calibrata con i pesi specifici del film, a volte è necessaria una distanza, uno sguardo meno partecipe. Una differenziazione del punto di vista che è fondamentale per equilibrare la materia del film stesso.
FAMILIA è un film che si presta ad una contaminazione di genere, credo che sia un arricchimento in grado di stratificare il linguaggio e i livelli di lettura dell’intera opera. Il cinema è bello nelle sue più svariate forme e nei suoi differenti linguaggi; sarebbe stupido pensare che un genere, uno stile di regia, sia più giusto rispetto ad un altro. Ogni linguaggio ha la sua forza e credo altamente nel potere che ha la finzione di scavare nella realtà, restituirci una verità più profonda e articolata, andare oltre la superficie delle cose. Come scrive Robert Bresson nei suoi appunti di regia: La realtà bruta non darà da sola qualcosa di vero.
Francesco Costabile