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VENEZIA 81 - "L'Orto Americano", che fine ha fatto Barbara?


VENEZIA 81 -
Un inedito, per lui, bianco e nero è la cifra principale che resta negli occhi dopo la visione de "L'orto americano", film di chiusura di Venezia 81 diretto da Pupi Avati e realizzato con un ampio cast.

Alla fine della seconda guerra mondiale un ragazzo aspirante scrittore resta folgorato dall'incontro fugace con una giovane soldatessa statunitense. Tempo dopo si trasferisce per scrivere un romanzo Oltreoceano, casualmente nella casa accanto a quella in cui viveva proprio lei, che scopre essere misteriosamente scomparsa, da tutti ritenuta uccisa da un maniaco.

Lui è convinto di sentire le voci dei morti, e per questo motivo inizia una sgangherata - ma sorprendentemente fruttuosa - indagine personale per capire cosa sia successo alla ragazza: al ritorno in Italia, si appassionerà al processo che - per altri omicidi, già certificati - si sta svolgendo proprio contro quell'uomo. Ne resterà coinvolto e, per certi versi, travolto.

Filippo Scotti, lanciato da Paolo Sorrentino, ha forse le spalle non ancora abbastanza larghe per sostenere il peso di un film così, in cui è in scena sempre (pur destreggiandosi bene con la doppia lunga) e in cui sembra anche troppo giovane per il ruolo. A sostenerlo un coro di attori e attrici, non tutti in parte, alcuni "abituali" nei film del regista emiliano (da Andrea Roncato a Chiara Caselli).

Misteri e gialli da svelare, fantasmi veri o immaginati, un processo lungamente seguito e un colpevole da scagionare (o forse no): la narrazione procede e l'attenzione è mantenuta, anche se sono troppe le "casualità" che portano avanti gli eventi. Un omaggio al cinema noir hollywoodiano su cui il regista si è formato da ragazzo come spettatore.

L'ennesimo capitolo della lunga filmografia avatiana convincerà sicuramente i suoi fan, regalerà qualche emozione al pubblico generalista, ma difficilmente lo avvicinerà a spettatori che non lo amano già.

07/09/2024, 20:24

Carlo Griseri