Note di regia de "L'Ornitologa"
L’ornitologa nasce da una riflessione molto personale sulla mia precedente relazione, legata al valore della parola nella comunicazione. Adele cerca un contatto con la madre Clara, ma ogni volta che provano a parlare non riescono a capirsi. Gli unici momenti di comunione avvengono senza parlare o attraverso il contatto fisico, come quando Adele fa la tinta a Clara e le racconta il suo sogno: in questo caso le parole servono a descrivere immagini intime ed apparentemente irrazionali. Nella Liria, invece, Adele trova immediatamente la connessione profonda che stava cercando. Il contatto tra le due avviene senza la parola, ma tramite il tatto e la condivisione di sensazioni fisiche. La Liria, infatti, è per metà animale, mentre la parola è lo strumento di comunicazione proprio dell’essere umano. Da questa riflessione nasce la scelta di ridurre al minimo i dialoghi, così da porre maggior cura nei versi degli uccelli e nel suono degli ambienti, evidenziando il valore di questi ultimi. Clara e Adele attraversano il bosco in maniera molto diversa, dunque per gli esterni ho privilegiato campi larghi e di ampio respiro, per porre l’attenzione sui corpi dei personaggi nello spazio. Il bosco della storia, volutamente privo di coordinate spaziali, è il regno di Clara, è il suo luogo di calma e ricerca, che conosce a memoria. Adele, invece, al bosco si abbandona, e perdendosi trova la Liria, che è parte di esso. L’interno della casa è il luogo che Clara e Adele condividono e nel quale, per la maggior parte, ha vita il loro conflitto. Negli interni, non condividono quasi mai l’inquadratura perché quasi mai riescono a trovare un punto di contatto. La metamorfosi del finale, in cui Adele si trasforma nella Liria, è la risposta del suo corpo ad una forte necessità, quella di un contatto reale. La carne stessa si ribella alla forma umana, condannata alla parola, per farsi animale e poter vivere finalmente ciò che ha avuto la possibilità di sentire soltanto per poco tempo.
Valentina Pietrarca