Note di regia di "Die, Die My Darling"
Esplora il tema della solitudine urbana e il fenomeno degli Hikikomori. Ambientato in un misero monolocale a Pisa, il film segue la storia di Andrea, un ragazzo che si sente alienato in una grande città.
Attraverso inquadrature statiche e silenzi eloquenti, riesce a trasmettere la tensione interiore del personaggio.
La frase alla fine del corto "Non v'è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l'intervallo" sottolinea una prospettiva esistenziale in cui la vita è vista come un breve spazio tra due eventi inevitabili e definitivi: la nascita e la morte.
Questa frase ispira un approccio visivo e narrativo che riflette la transitorietà dell'esistenza, e che invita a concentrarsi sull'importanza del "qui e ora" e del cambiamento personale.
Per rappresentare visivamente il concetto del tempo limitato, utilizzo inquadrature lunghe, che enfatizzano il trascorrere lento del tempo, alternandole a incubi rapidi che rappresentano i momenti più fugaci della vita, nonché il futuro.
Questa contrapposizione tra tempi lenti e veloci aiuta a comunicare il senso della vita che scorre, a volte senza che ce ne accorgiamo.
La luce parte come piatta, grigia, come la sua vita interiore momenti di incertezza e riflessione sul senso della vita. Il contrasto fra “grigio” e “colorato” nel finale, mostra come la vita sia costantemente sospesa tra la bellezza e l'inevitabilità del suo termine.
Finale amaro ma con un cambiamento positivo e radicale nel protagonista.
Vi sono oggetti simbolici che richiamano l'idea del ciclo della vita, come orologi e foglie che cadono. Questi oggetti aiutano a rendere palpabile l'idea del tempo che scorre in modo irrimediabile. Nonché il quadro di Salvador Dalì “La persistenza della memoria” che rappresenta il tempo fugace o interminabile a seconda della percezione del tempo (e della realtà) avvertita dal singolo soggetto, ciò avviene sia nella veglia ma soprattutto nei sogni, regolati dai meccanismi dell'inconscio. In questo modo, l'immagine degli orologi molli è simbolo della plasticità e della soggettività del tempo, dimensione sfuggente ed enigmatica che non è affatto uguale e oggettiva per tutti.
Con il finale spiega che il destino non sappiamo se è scritto o no, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di migliorare noi stessi e chi ci circonda.
Julian Vincenzo Ricci