Note di regia di "Il Mestiere di Vivere"
Sono nata in Piemonte, cresciuta a Torino, da più di quarant’anni vivo a Roma.
Pavese, certo, l’ho incrociato nella mia adolescenza torinese e non solo.
Ovviamente l’ho amato, l’ho letto. Ho imparato a memoria molte delle sue poesie.
L’ho messo tra i ricordi di quel fruttuoso passato vissuto nella Torino irripetibile degli anni Sessanta. Ritrovarlo e rileggerlo oggi, a distanza di tanti anni, è stata per me una vera e propria folgorazione. Prendi in mano i suoi romanzi, le sue poesie, soprattutto i suoi diari e già dalle prime righe capisci che ti sta parlando del “presente”. Non del suo presente, ma del “nostro.” Mette in scena la complessità degli eventi e ti fa capire che non hai scampo. Ti costringe a non cercare risposte semplici, ti sbarra la strada se provi a schierarti. Ti mette alla prova. Lui non spiega, non suggerisce, non cerca la tua approvazione. Quel Pavese che ricordiamo frettolosamente come il poeta infelice, suicida per amore, probabilmente è molto di più. Forse è l’intellettuale scomodo che oggi ci manca, l’antipatico mai compiacente che ti complica la giornata, il magnifico compagno di viaggio che - nelle colline di Santo Stefano Belbo - ti fa intravedere il mare azzurro di Itaca. Ho lasciato un Pavese che credevo locale e generazionale, ho ritrovato uno scrittore con il respiro dei “classici”.
Giovanna Gagliardo