SOTTODICIOTTO 25 - L'ALBERO di Sara Petraglia
«
Io ho te, ho te / per un'oscura attinenza reale / che sopravvive nel profondo del cuore...».
L'ultima scena e i titoli di coda de
L'albero di
Sara Petraglia scorrono accompagnati da una bellissima canzone dei Diaframma, uscita quando la regista aveva circa l'età dei personaggi ritratti. È forse questo lo spirito che ha guidato la figlia d'arte - il padre Sandro è autore da oltre quarant'anni di celebri film e serie televisive - nella scrittura della sua opera prima.
Sulla stessa frequenza del cantautorato malinconico scelto per la colonna sonora, il film trotta al ritmo di una ballata per anime tristi. Si tratta di Angelica e Bianca (nomen omen), due ventenni che condividono una casa al Pigneto e che per noia fanno frequente uso di stupefacenti vivendo ogni giorno come fosse l'unico finché succede qualcosa che mette in crisi il loro già fragilissimo rapporto. Per l'intera durata del racconto le due si cercano, si guardano, si respingono. Giungono persino a colpevolizzarsi a vicenda per la loro infelicità, attuando delle dinamiche che l'amica Celeste (!) identifica immeditamente come tossiche.
Ma come nei brani di cui sopra, anche qui c'è come una sorta di imbarazzata gioia, un desiderio di fuga, di evasione dal quotidiano tedio verso lidi romantici e vitali. Allora ecco i vicoli e le spiaggie di Napoli. La sequenza partenopea del percorso fisico ed emotivo delle due ragazze è probabilmente il più riuscito. Lì abbiamo davvero modo di conoscerle, di avvicinarci
abbastanza da sentirci coinvolti, da provare empatia nei confronti delle sventurate viaggiatrici.
Altrove il racconto si fa più didascalico, rischiando cadute quando va bene melodrammatiche e quando va meno bene sorrentiniane: si pensi ai momenti in cui le due pippano coca oppure quelli in cui siedono pensose con la sigaretta in bocca come dive d'altri tempi. Fortuna che Petraglia si affida a due attrici dal talento raro, capaci di elevare battute a volte ridondanti e una messa in scena non sempre sicura.
Tecla Insolia infonde carisma e tenerezza a Bianca, la quale essendo una scrittrice è la voce con cui lo spettatore si identifica da subito.
Carlotta Gamba lavora invece di mestiere donando ad Angelica la sua nervosa tecnica espressiva e riuscendo perfettamente nell'intento di restituire il
complesso fascino di una figura che rischiava di restare abbozzata nello stereotipo. A ogni modo, non è affatto semplice raccontare per immagini le dipendenze, siano esse concretamente legate a sostanze oppure simbolo di una compensazione affettiva, senza risultare retorici.
L'opera della trentacinquenne romana rappresenta un coraggioso tentativo.
L'albero è quello che Bianca vede dalla finestra della sua stanza e che fino alla fine della vicenda non saprà dove collocare nella geografia della capitale, come in effetti capita a tutti di non riuscire a fare con la speranza nel futuro mentre si è impegnati ad affrontare il presente. Ignorando qualche schematismo, si può dire che il film afferma la sua sincerità nella ricerca di un disagio generazionale, disegna con delicatezza una difficile storia d'amore e convince per la sensibile direzione delle due interpreti protagoniste.
13/12/2024, 16:57
Alessandro Amato