GEN_ - Dell’accoglienza dell’altro
C’è un’oasi, all’ospedale Niguarda di Milano; un’oasi di comprensione, accettazione e aiuto nel deserto di intolleranza e bullismo della società fuori dalle mura dell’edificio: si tratta del reparto “Diagnosi e terapia della sterilità e crioconservazione” diretto dal dottor
Maurizio Bini, dove coppie che non riescono a procreare con i metodi tradizionali e persone che vogliono intraprendere un percorso di cambio di sesso portano le loro speranze per un futuro più felice.
A questo centro e alle attività che vi si svolgono (supporto psicologico, terapia farmacologica, fecondazione assistita, riassegnazione del genere) è dedicato l’interessantissimo documentario
Gen_ di Gianluca Matarrese, regista attento al presente e al potere della parola (
Les beaux parleurs, L’expérience Zola), che sa dotare la realtà filmata dei suoi racconti di una forza dirompente in grado di sorprendere e interrogare costantemente gli spettatori.
Nello scorrere quasi ininterrotto dei colloqui con i pazienti, il dottor Bini (vero centro nevralgico del documentario e del reparto) propone terapie, presenta ostacoli, offre consigli e dona supporto ai numerosi pazienti che aprono allo spettatore un’infinita casistica di situazioni che potremmo definire anomale se proprio il film di Matarrese (presentato al Sundance Film festival di fronte ad un pubblico incredulo) non riuscisse nel nobile intento di farcele considerare normali. Anzi, naturali.
È significativo che il film si apra e si chiuda con le passeggiate di Bini in mezzo al bosco: il regista piemontese sceglie di racchiudere tutte queste storie particolari in un abbraccio di naturalità che rispecchia a livello visivo l’approccio etico del protagonista. Parlando con estrema naturalezza ai suoi pazienti di transizione M to F o F to M (da maschio a femmina o viceversa), di fecondazione omologa ed eterologa, di ormoni per ridurre l’erezione o di mastectomie, il primario assume un atteggiamento diretto ma comprensivo, mettendo a proprio agio i suoi interlocutori al punto che alcuni di loro gli danno del tu, si commuovono fino alle lacrime nel ringraziarlo per il suo lavoro e gli esprimono la loro ammirazione e la gratitudine per il suo operato che ha di fatto cambiato loro la vita.
Tutto questo è ripreso da Matarrese in modo partecipe pur se apparentemente distaccato, dal punto di vista di un osservatore esterno ma coinvolto: non ci sono testimonianze raccolte attraverso interviste ma colloqui inquadrati per lo più lateralmente, a volte dando l’impressione che il regista per discrezione si voglia nascondere al fine di non turbare la delicatezza del momento. Matarrese ragiona sulla giusta distanza dalla quale osservare questi uomini e queste donne, queste ragazze e questi ragazzi nel momento in cui si rivelano nella loro massima fragilità, presentandoci tutti loro come persone determinate a raggiungere la felicità nonostante le pastoie burocratiche, le difficoltà legislative, gli intoppi legali, il rifiuto dei familiari.
Il film di Matarrese è il ritratto di una varia e sorprendente umanità ma è anche un importante documento sociale che testimonia come certe realtà illuminate contribuiscano al benessere e alla serenità dei cittadini al di là degli ostracismi di una certa politica o di un’etica a volte cieca che non sa comprendere come “a volte in sanità le cose sono giuste e bisogna forzare perché siano legali”.
Bini è l’emblema di quella sanità votata alla cura che prima di tutto e sopra ogni cosa vuole il benessere del paziente espellendo dal quadro la componente economica che domina invece la sanità di tipo assicurativo di stampo statunitense (verso cui non si manca di esprimere forti critiche). Partendo dunque da un microcosmo ben definito dalle circostanze e dall’ambiente, Matarrese allarga il respiro per costruire un discorso etico e morale, dove la legge che ha potere è quella dell’accoglienza dell’altro.
26/03/2025, 08:24
Alessandro Guatti