Note di regia di "Istanti"
In “Istanti”, ho scelto di compiere un gesto audace e provocatorio: utilizzare immagini statiche, come se il tempo, sullo schermo, si fosse improvvisamente fermato. Questa decisione, apparentemente semplice, nasconde una complessità di significati e una precisa intenzione stilistica.
Non si tratta di un'idea completamente originale. Anche il cinema tradizionale, dopotutto, si basa su una rapida successione di immagini fisse. Ma in “Istanti”, la frequenza di queste immagini si riduce drasticamente. Il ritmo rallenta, il tempo cinematografico si dilata. Lo spettatore è costretto
a osservare, a riflettere, a indugiare su ogni fotogramma, come se ciascuno racchiudesse una storia a sé.
Questa immobilità porta con sé implicazioni narrative profonde. Le immagini statiche riflettono lo stato d’animo della protagonista: paralizzata dal dolore di una separazione, bloccata in un presente sospeso. Ogni fotogramma diventa una metafora di un tempo che si rifiuta di scorrere, un simbolo della sua incapacità di andare avanti.
Ma c’è di più. L’immobilità non è solo una rappresentazione del dolore: è un invito alla riflessione. Quando il movimento si arresta, emergono i dettagli. Gli sguardi, le espressioni, i silenzi si fanno più eloquenti. Lo spettatore, in questa esperienza, non è un semplice osservatore passivo: diventa un co-costruttore del significato, chiamato a legare tra loro i frammenti, a dare un senso al tutto.
Le voci fuori campo accompagnano questo viaggio, ma il loro ruolo non è quello di raccontare: fungono da guida, lasciando allo spettatore il compito di cucire insieme i lembi della storia. È un processo attivo, intimo, che coinvolge a un livello profondo. Ogni immagine è un frammento di memoria, e ogni memoria è una rielaborazione personale, filtrata attraverso la lente del dolore e della nostalgia.
Il tema della memoria è centrale in “Istanti”. Le immagini non sono semplici istantanee del passato: sono ricordi trasformati, frammenti di un tempo vissuto che tornano alla mente della protagonista. Ma la memoria, si sa, è sempre selettiva, soggettiva. Non ricordiamo tanto i fatti, quanto il significato che attribuiamo loro. Ed è proprio attraverso questa rielaborazione che “Istanti” invita a riflettere sul rapporto tra il passato e il presente, tra ciò che è stato e
ciò che siamo oggi.
La vita, come il cinema, è fatta di istanti. Frammenti di tempo discreti, che si susseguono senza soluzione di continuità, ma che il nostro cervello ricompone in un flusso unico, un racconto coerente. È in questa illusione di continuità che costruiamo il senso del nostro esistere.
In questo contesto, l’amore emerge come forza trascendente. Non legato al tempo o allo spazio, l’amore si rivela capace di unire ciò che è stato separato, di dare senso al dolore, di offrire un motivo per andare avanti. È l’amore, alla fine, ciò che definisce la vita. E in “Istanti”, è l’amore che permette alla protagonista di affrontare il proprio dolore, trasformando la staticità in un punto di partenza per un nuovo inizio.
Tommaso Barba15/04/2025, 16:40