Note di regia di "Nottefonda"
“Vorrei raccontare il dolore di un uomo che aveva tutto e all’improvviso non ha più niente”.
Questa è stata la mia risposta a Bruno Oliviero quando mi ha chiesto cosa volessi raccontare con questo film. Ci ho messo un po’ a capirlo. Questa storia è dentro di me da molto tempo, ormai. Ho scritto il romanzo qualche anno fa e da allora l’ho raccontato nelle molteplici presentazioni che si sono susseguite. Fino a non poterne più, come accade spesso a chi racconta storie.
Poi ho capito che il libro poteva diventare una scatola da cui raccogliere pezzi per costruire una nuova storia. Così mi sono concentrato a raccontare la storia di un uomo disperato, in lotta perenne con la sua ferita inguaribile. Un uomo che aveva tutto e all’improvviso non ha più niente, appunto. Un uomo costretto a elaborare un lutto difficile da superare e che lo fa attraverso notti infernali - tutte uguali - alla ricerca di un colpevole introvabile. Un uomo che ha affidato al crack la panacea di una realtà divenuta insopportabile e che sopravvive di allucinazioni emotive.
Volevo avere un film guida che ispirasse stilisticamente questa mia prima avventura cinematografica. Ne ho visti a centinaia e ho cambiato mille volte idea, ma poi alla fine l’ho trovato: Belfast di Kenneth Branagh.
Ho capito che volevo raccontare Napoli come una città universale dove collocare il mio protagonista e la sua storia umana. Farlo vagare in una città notturna, piena di gru del porto, di rumori di muletti in azione, di container pronti a partire, di sabbia nera del vulcano e mare grigio d’inverno, di cavalcavia isolati e di strade periferiche e buie. E poi un’auto, quella di Ciro, che le percorre. Sullo sfondo: il Natale che illumina le case degli altri e mette tristezza a chi non ha niente da festeggiare.
La macchina da presa fissa, senza orpelli o esercizi di stile, inquadrature strette sui volti dei protagonisti (padre e figlio anche nella vita) per catturarne emotività e fragilità, cercando di lasciare fuori dalla narrazione ogni spiegazione, ogni naturalismo. M’interessava solo guardare da molto vicino lo sforzo di quest’uomo che combatte contro sé stesso per attraversare la sua bizzarra elaborazione del lutto. Stare con lui, sempre con lui, sulla sua faccia livida e i suoi capelli radi, segni evidenti di dolore e disperazione. Fino all’alba che – finalmente – lo libererà dal supplizio con un sorriso di pianto.
Giuseppe Miale di Mauro18/04/2025, 17:15