Michelangelo Antonioni, ferrarese, classe 1912, critico cinematografico dal 1935 al 1945, durante il servizio militare riesce a farsi mandare in Francia quale aiuto regista di Marcel Carnè. A trentuno anni realizza il suo primo documentario ("Gente del Po") e a trentotto il suo primo lungometraggio ("Cronaca di un Amore").
Appartato, solitario, sempre inquieto e allo stesso tempo vigile e saggio, nel 1960 è costretto a subire a Cannes i fischi per "L’Avventura", necessari a far capire il senso di un film che, di ...visualizza tutto colpo, divide il cinema del passato da quello del futuro e che lo pone da quel momento quale interprete della Modernità.
Nel 1969, per "Zabriskie Point", deve accettare con grande pena ciò che scrive la stampa americana fedele al sistema che non riesce a tollerare il suo sguardo “estraneo”, il suo “furore poetico”, come scrisse Moravia, e usa il giudizio politico per stroncare una delle metafore più lucide e belle su quel paese. Ma sarà riscattato dall’esplosione di consensi dell’“altra America”, dalle opinioni dei giovani, la sua vera audience.
Quattro anni dopo, nel 1972 per "Chung Kuo.Cina", il “Quotidiano del Popolo” di Pechino, per aver cercato di capire e raccontare l’uomo cinese, il simbolo più chiaro del cambiamento epocale della Cina, lo definisce “un reazionario e un controrivoluzionario”. Ma è in buona compagnia: assieme a Confucio e Beethoven.
Nel 1974 con "Professione: Reporter, quando", nella penultima sequenza, la storia sta per avviarsi all’epilogo, Antonioni conduce il suo protagonista all’appuntamento con la morte, lo guarda con l’occhio sospeso nello spazio facendolo entrare nell’arena come un toro, in una sequenza che sembra la sintesi di tutto il suo cinema.
A ottantatré anni, quando nessuno se l’aspetta, e mentre sta firmando il suo sedicesimo film ("Al di là delle Nuvole") la stessa America che tanto l’aveva vituperato, gli attribuisce l’Oscar alla Carriera.
Sedici film e diciotto film brevi e cortometraggi di un protagonista di cinquant’anni del nostro cinema, segnati da uno stile, da un rigore, da una sottigliezza assoluti e inconfondibili che hanno fatto di lui uno dei maestri del cinema e “uno degli artisti del nostro tempo” (Barthes).