Nato nel 1919, Basilio è ancora oggi la testimonianza diretta di un’intera generazione di suonatori; ma è anche un caso unico, eccezionale, di straordinaria sensibilità musicale. Racconta di quando il padre, tornando da una giornata di lavoro nei campi, portava tra le mani uno strano oggetto, semplice e povero nella fattura ma carico di mistero: era un organetto, lu ddu bbotte, ed era un privilegio per pochi a quei tempi. Per lo più si scambiava con beni in natura: galline, conigli. Quasi nessuno poteva acquistarl...visualizza tuttolo. Quel giorno Basilio D’Amico e i suoi quattro fratelli fecero festa, nel vedere arrivare il piccolo strumento a casa, e se lo contesero negli anni successivi, per suonarlo dopo il ritorno dai campi. Ma Basilio era il più dotato e il più appassionato, e quando non riusciva a suonarlo perché non era il suo turno simulava la tastiera infilando il pollice tra i bottoni della camicia, ed esercitava le dita chiudendo gli occhi e immaginando la musica.
Durante la guerra di Libia portò con sé una fisarmonica, per suonarla sulla nave ed allietare i pochi momenti di calma, ma un giorno, vicino al deserto, cadde prigioniero dagli inglesi e perse per sempre il suo strumento. Nella prigionia in India e poi in Inghilterra suonò la tromba nell’esercito e l’organo nelle chiese protestanti, e al ritorno in patria tornò alla sua vecchia passione: l’organetto. Per cinquant’anni Basilio D’Amico ha suonato dovunque fosse possibile: per le serenate e i matrimoni, nelle feste paesane, alle serate di ballo nelle aie delle case di campagna, alle esibizioni del gruppo folkloristico del “Laccio d’Amore” di Penna Sant’Andrea; la sua attività musicale è stata studiata e documentata fin dalla metà degli anni ’80 ed è oggi parte di raccolte discografiche sulla musica tradizionale abruzzese (tra le altre si segnala Balli Popolari in Abruzzo, vol. 2, La saltarella del teramano, a cura di Giuseppe M. Gala).