Federico Federici nasce nel 1965 a Gibellina, un piccolo paese dell’entroterra siciliano. La sua famiglia è povera, e questo lo spinge a lavorare per il sostentamento familiare già da adolescente. Dopo mesi passati a lavorare come cameriere, diventa chef e si trasferisce a Roma, dove impara il mestiere di cuoco grazie allo chef parigino Joel Robuchon. Inizia a frequentare musei di arte contemporanea, dilettandosi, contemporaneamente, con videoinstallazioni realizzate in casa con materiali di fortuna. L’opportunità...visualizza tuttoà di lavorare a Milano in un rinomato ristorante stellato lo intriga e lo porta a trasferirsi nuovamente.
L’arrivo nel capoluogo lombardo nel 1988 segna una svolta nella sua vita: colto da un malore durante un servizio, Federico Federici sviene e si risveglia in ospedale. Alle infermiere e ai familiari comunica la volontà di voler abbandonare per sempre la carriera di cuoco e di diventare un artista. Assume dunque il nome di Gaudenzio e inizia a indossare una tunica bianca simile ad un panjabi da cui non si separerà più nelle sue manifestazioni pubbliche. Tuttora, l’origine del nome rimane misteriosa e priva di significati.
Le sue umili origini lo portano ad integrare nella sua arte il minimalismo e l’essenziale. Dopo Milano, vive a Londra per sei mesi rifiutando però di imparare l’inglese, da lui giudicato inadatto alla “comunicazione reale”**. Per la casa editrice inglese “Furry Animals” pubblica “Talita Kum!” un libro provocatorio senza testi né immagini. A Londra conosce Liz Feynor, artista serba con cui instaura un rapporto di collaborazione artistica, e, successivamente, di natura sentimentale.
Tornato a Milano inizia a utilizzare un linguaggio minimale prendendo come base l’esperanto e l’aramaico. La lingua senza nome, come egli stesso la definì, non riuscì mai a diffondersi poiché fu l’unico a utilizzarla, ma contribuì ad incuriosire pubblico e giornalisti. Un’espressione che amava usare davanti alle videocamere era “Snyapakalatoh” (rif. da “Messaggi del bulbo pilifero” di George Broom)*** di cui non fu mai compreso il significato.
Tra le performance più ricordate di Gaudenzio figura “Ephfatha” (dall’aramaico “Apriti”), in cui incolla parte dei suoi baffi sul muro di Berlino nel 1989. Con “Kitkat on da table” al Kitkat di Berlino, storica discoteca alternativa, rimane immobile per 46 ore indossando una maschera che rivela i suoi baffi celando il resto del
viso. Infine inscena una protesta contro le pale eoliche nel 1997, davanti alla sede delle Nazioni Unite, in cui riunisce più di 200 attivisti. Larry King, a tal riguardo, gli dedica uno speciale di 25 minuti in cui Gaudenzio parla un inglese provocatoriamente incomprensibile.
Rimane avvolta nel mistero la sua uscita dalle scene: dopo una mostra a Firenze in cui si rifiuta di rilasciare interviste di Gaudenzio si perdono le tracce. Tuttora risulta scomparso. Un UFO nel mondo dell’arte, una presenza – assenza che ha gettato le basi della perfomance art in Italia e nel Mondo.