Sinossi *:
Con una comunità di antica immigrazione e composta da 165mila, quella filippina è una presenza costante della società italiana da almeno 30 anni. Eppure in Italia "filippino" è quasi sinonimo di domestico, un esempio di relativa segregazione occupazionale e scarsa mobilità sociale. Quello italiano non è un caso isolato: i filippini e le filippine che lavorano all'estero sono quasi 10 milioni o un decimo della popolazione e, specie le donne, sono impiegati soprattutto nel lavoro domestico e di cura. L'emigrazione e l'impiego nel lavoro di cura è stato incentivato fin dai tempi di Ferdinando Marcos, il presidente/dittatore che ha governato il paese dal 1965 al 1986 e il cui figlio Ferdinand Marcos Junior è stato eletto presidente nel 2022. Oggi le mete più comuni per le donne che lasciano il paese sono i paesi della Penisola araba, Singapore e Hong Kong. Ma emigrare per andare a fare le domestiche in Kuwait, Oman o Arabia Saudita significa rischiare di finire vittima di abusi, violenze, lavoro e orari massacranti. Il racconto, attraverso le storie drammatiche di quattro donne, emigrate, tornate o in procinto di partire, il sistema di emigrazione filippino incentivato dallo Stato, il ruolo delle agenzie che reclutano le emigranti nei villaggi, la formazione fornita dallo Stato attraverso una rete di scuole specializzate. I corsi sono resi necessari anche dal fatto che molto spesso le donne che vengono dalla campagna o dagli slum attorno a Manila non hanno mai visto in vita loro un'aspirapolvere o una lavatrice. Nelle loro baracche, le donne raccontano i motivi che spingono alla migrazione e il dolore per l'abbandono dei propri figli, i loro traumi. Alla pressione lavorativa spesso si aggiungono i maltrattamenti, i salari non pagati, le minacce, le violenze. Situazioni inimmaginabili in cui l'unica soluzione a volte è la fuga da un paese le cui leggi vietano di lasciare la casa del datore di lavoro senza il suo permesso.



Note:
Documentario della serie "Il Fattore Umano".

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