Sinossi *:
Occhi. Occhi spalancati sul vuoto che più si teme. Occhi fissi, volutamente sereni, tesi al bersaglio impossibile: l'eternità. Accompagnati dal sorridere vago che aleggia attorno a labbra promettenti. E' questo il mistero che Christian Schad ha colato nella forma perfetta di un ritratto che ruba il nitore ad Antonello e la sospensione a Leonardo…
Occhi. Occhi estatici, delusi, amareggiati. Occhi assenti, maliziosi, prepotenti. Occhi divoranti. Questo mostravano le belle maschere incorniciate che Emilio aveva amorosamente collezionato. E che io, nel silenzio petroso del castello di Lerici, luogo di ogni mia scorribanda infantile, scoprivo. Come se Emilio avesse guardato il mondo con gli occhi delle sue belle creature inesistenti, tuttavia tenaci padrone dello spazio e del tempo, concrete regine del suo cuore. Specchi confortanti della sua fragilità. Fu in quel momento che nacque Sguardi , intravedendo il filo di una possessione - gioia della mente, smacco sanguinoso - , tra un uomo che mi era totalmente sconosciuto e le figure nelle quali, mi parve, amava immergersi. Idoleggiare l'altro da sé, impadronirsi di lui, per giganteggiare nella sfida mortale cui siamo condannati? Fu l'idea di questo amore impossibile che mi indusse a chiudermi nel castello di Lerici, poco prima che la magia si dissolvesse con la rimozione dei dipinti. E' li, nel laboratorio originario della mia immaginazione, che ho cercato l'incontro con Emilio…
Emilio Bertonati nacque a Levanto il 20 febbraio 1934, morì a Milano nel 1981. In meno di trent'anni, con una attività incessante, di gallerista e studioso, porta a conoscenza del pubblico personaggi e movimenti pittorici fino a quel momento pressoché ignoti. Importanti furono le sue ricerche sull'estetica del prodotto industriale e sui calcolatori, sullo Jugendstil, sulle avanguardie russe e ungheresi, sulla secessione di Dresda, sulla nuova oggettività e sulla fotografia, fino alla valorizzazione di artisti come Schad e Schlichter.



Note:
Girato in durante la mostra "La Nuova Oggettività e altre Cose" nel castello di Lerici.
Oliviero Lacagnina
"Sguardi" venne ideato e girato da Luigi Faccini nel castello di Lerici un paio di giorni prima che la mostra dedicata alla collezione di Emilio Bertonati venisse smontata. "Sguardi" salvò la memoria dell’evento forse più significativo di questi ultimi anni. Si allungò la fase del montaggio e, più in generale, quella dell’edizione sonora, nella quale io venni coinvolto.
Era mancata, dal mio punto di vista, quella fase preparatoria a volte fatta solo di parole, che, come tali, riescono di solito ad accendere la fantasia del musicista, affinché possa affrontare l’oggetto della discussione. Per "Sguardi" avvenne proprio il contrario, e Luigi Faccini, dopo il montaggio, mi chiamò perché visionassi una cassetta perfettamente muta del film. Molto parlammo delle intenzioni che sottostavano al film, perché di questo si trattava, non di un documentario sui quadri esposti nella cornice suggestiva del castello di Lerici: un viaggio che Luigi Faccini aveva fatto nell’animo di un uomo che non aveva conosciuto. A me toccò tradurre in musica il mistero di quel viaggio.
Ora, questo “corto” piace e viene considerato un piccolo capolavoro. Che io vi sia stato coinvolto costituisce un grande piacere, soprattutto perché non si trattò di una formalità espletata in modo sbrigativo! Per esperienza personale so che spesso al regista piace girare su di una musica già progettata ed eseguita (so che Luigi Faccini qualche volta lo ha fatto), un modo per cercare e realizzare sequenze che poggino o, al contrario, contrappùntino su combinazioni armonicomelodiche predefinite. Comunque, dopo gli incontri e le discussioni con il regista, è il musicista che rimane con il “pallino in mano”. Scatta allora quel meccanismo affascinante di costruzione musicale che prende forma nella sua mente.
Negli archivi della sua memoria musicale vengono analizzati e scelti quei “climi” che hanno affinità con quanto descritto dal regista. In qualunque caso più quegli “archivi” saranno ricchi più il processo compositivo sarà spedito e vicino alle aspettative di chi dovrà tradurre l’ascolto in immagine. Per "Sguardi" siamo riusciti a rovesciare il problema, partendo da un prodotto già definito, con immagini non solo già girate ma assemblate in modo esaustivo. Ho ancora ben presente il ricordo della prima visione del film, nudo, avvolto nel silenzio... un silenzio disarmante. Ed è lì che scattò la “magia”. Le sequenze non solo erano state girate da una mano esperta, ma grondavano di emozioni, di erotismo, di Storia, trasmettevano un amore intenso, coinvolgente, passionale. Eppure, lì davanti a me, non c’erano le espressioni mutevoli di volti vivi, c’era, al contrario, la fissità dei quadri che in qualche modo dovevano essere animati con il movimento della ripresa e del montaggio, cosa che Luigi aveva fatto con grande virtuosismo, avvalendosi della dissolvenza incrociata, veloce o lentissima, a volte ipnotica... una vera festa per l’occhio! “Occhi! Occhi spalancati sul vuoto che più si teme...”. Così scrive Faccini nella presentazione di "Sguardi" alla Galleria Il Gabbiano nel 2003. Così l’occhio del musicista diventò ancor di più “medium” e, nel mio caso, mi abbandonai alle immagini, facendo in modo che le mani sul pianoforte inseguissero questa storia allucinata e inquietante. Sull’occhio di Bertonati, con cui parte "Sguardi", ci sono due note in ottava del pianoforte; suoni acuti, penetranti come quell’occhio che mi guarda..., poi, con maggior coraggio, i suoni si sommano e le armonie cercano delle risoluzioni che non vengono, l’inquietudine di quegli sguardi prende il sopravvento e il tessuto musicale si fa sempre più spesso, l’agogica* sempre più instabile. L’immagine ha sortito il suo effetto e con sontuosa invadenza sembra prendere per mano la musica, anzi è il caso di dire che “mi son fatto prendere la mano”. Il gioco riesce, tutto diventa più facile, i cromatismi delle progressioni, senza modulazioni consolatorie, si accavallano, per fermarsi solo davanti ad immagini che pretendono qualcosa di più esplicito. Ecco dunque citazioni immaginifiche, come quel larvato fox-trot sugli occhi e le forme conturbanti di Speedy, moglie impertinente e trasgressiva del pittore Schlichter, a sua volta sfrenato feticista, o citazioni storiche, un Dies Irae deformato, come deformato sarà un inno germanico dai caratteri apocalittici. Lo sviluppo del materiale musicale sembra avvolgersi su se stesso quando l’immagine ritorna a sguardi meno inquietanti che si tuffano nelle acque del mare lericino... e con loro ritornano le ottave squillanti e l’armonia che si fa più rada. Lavoro non scritto ma piuttosto improvvisato, impulsiva reazione ad altre reazioni in un gioco di scatole cinesi: io che guardo Faccini che guarda altri occhi che a loro volta guardano! Nei luoghi della mia memoria musicale non c’era un corrispettivo a tanta ricchezza, ma la geniale cadenza del montaggio suggeriva chiaramente ritmi da cui [e su cui] inventare climi e atmosfere. Musica a tratti inquieta, distorta nell’elaborazione di qualche citazione, sempre in movimento, in un continuo cromatismo ansioso.

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