Sinossi *: L’animale umano non vive più da tempo le condizioni naturali della sua specie. In poche migliaia di anni siamo passati da una condizione tribale durata circa un milione di anni, dove una manciata di uomini condivideva un vasto territorio e ci si conosceva tutti, uno per uno, a una ipertribale dove lo stesso territorio viene invaso da centinaia di migliaia di individui. Il modello sociale è cambiato da personale a impersonale, da cooperativo a competitivo. La specie umana non è biologicamente attrezzata per far fronte a questo cambiamento. Tutto ciò fa ben intuire che, con l’avvento dei social e lo sviluppo incessabile della rete e delle tecnologie ad esse correlate, oggi giorno il patrimonio più redditizio, probabilmente ancor prima del petrolio, siamo proprio noi: gli utenti, divenuti la risorsa più pregiata del pianeta. Siamo vittime consapevoli di algoritmi che prevedono con precisione il nostro comportamento costantemente e accuratamente analizzato. I social network, arma di “distrazione” di massa, sono riusciti a sostituire il rapporto a due sensi degli autentici contatti sociali, ma è una trappola. Siamo passati dallo zoo umano all’hyperzoo.
Le pareti di vetro che delimitano la stanza illusoria in cui opera l’artista sono dei limiti invisibili e deboli che soccombono agli sguardi insistenti degli spettatori, di tutti coloro che vogliono guardare al suo interno, non solo in senso fisico ma soprattutto sociale, psicologico, emotivo. Vediamo l’uomo/artista in una teca espositiva gigante che mostra, come in un moderno freak show, il fenomeno da baraccone di turno, una gabbia di vetro nella quale spiare, dall’alto della propria posizione sicura e protetta, un animale in gabbia. Tenendo ben presenti questi concetti a cavallo tra società moderna e la “direzione” che sta inevitabilmente prendendo, voyeurismo bulimico e ruolo dell’artista/uomo in un momento socio-politico-economico in forte crisi, Giangrande decide di rappresentare la sua versione di tutela della privacy e intimità, facendolo senza porre muri tra se e lo spettatore che anzi, è stato invitato a collaborare alla nascita dell’opera: un’installazione metamorfica esperenziale, collettiva e partecipativa, dove la relazione, quella vera face to face senza book, diviene il nocciolo principale della questione social-e generando una sorta di mappa verbale, un codice, un vocabolario frutto della scelta, cooperazione collettiva e condivisione, quella vera, che non ha bisogno di like. Oggi questo film, alla luce della pandemia, assume un aspetto sinistramente profetico.
Note:
Realizzato in occasione della sua partecipazione all’Atelier del MACRO ASILO tenutosi dal 30 luglio al 4 agosto 2019, durante il quale l’artista ha realizzato un’installazione metamorfica, esperienziale e performativa che ha visto coinvolto tutto il pubblico del museo.