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FdP 56 - LOVE IS ALL, raccontando Piergiorgio WelbySinossi *: L’immagine di un uomo inerte a letto, attaccato al respiratore polmonare che con una voce sintetica chiedeva al Presidente della Repubblica di poter morire, entrò nelle case degli italiani nel settembre del 2006.
Pochi mesi dopo quell’uomo, inascoltato dalla politica e dalla giustizia, decise di prendersi ciò che gli apparteneva e aiutato dai familiari e dagli attivisti radicali morì, sottraendosi a una vita che per lui era divenuta una tortura atroce e incessante.
Sono passati quasi dieci anni dall’irruzione nei palinsesti di quell’immagine e sebbene nel nostro paese il dibattito sulle questioni del fine vita non abbia fatto sostanziali progressi, quell’immagine è divenuta l’icona della lotta per i diritti civili e per l’autodeterminazione dei cittadini.
Love is All racconta la storia dell’uomo che si cela dietro a quell’icona e lo fa attraverso gli scritti, le narrazioni, le poesie, i dipinti e le sperimentazioni fotografiche di quello stesso uomo.
Love is All è un ritratto che tende all’autoritratto e nasce da otto anni di pedinamento delle tracce che la vicenda umana di Welby ci ha lasciato.
Love is All è una storia d’amore che nasce dall’innamoramento degli autori per Welby che era un uomo che amava la vita e amava gli altri e amava la libertà.
Note:
Chi è Piergiorgio Welby
Piergiorgio Welby nasce nel 1945; la diagnosi di distrofia muscolare progressiva gli arriva nel 1963, all’età di 18 anni: i medici gli danno pochi anni di vita. Tra il 1969 e il 1971 Welby lascia gli studi e inizia a viaggiare per l’Europa; poi la malattia peggiora e inizia la sua dipendenza dagli stupefacenti che, come lui stesso afferma, lo aiutano a dimenticare. Nel frattempo dipinge, dà ripetizioni, legge, scrive.
Alla fine degli Anni Settanta la malattia peggiora ancora; Piergiorgio inizia la disintossicazione. Nel 1980 si sposa con Mina, un’altoatesina giunta a Roma con una gita della parrocchia; sarà un colpo di fulmine. Con una grande forza di volontà e con l’aiuto di Mina, che l’ultimo mese di terapia ormai gli fornisce solo acqua al posto del metadone, Piergiorgio riesce a disintossicarsi.
Per la progressione della malattia perde l’uso delle gambe ed è costretto su sedia a rotelle. Intanto stabilisce un patto con Mina: se, come probabile per un malato di distrofia, dovesse capitare una crisi respiratoria, Piergiorgio dichiara di non voler essere soccorso, di non volersi sottoporre all’intervento di tracheostomia.
La crisi avviene il 14 luglio 1997 e lo manda in coma; Mina chiama l’ambulanza che riesce a portarlo ancora in vita all’ospedale; quel giorno – come scriverà nei suoi libri – i semafori erano tutti verdi. In rianimazione subisce l’intervento. In quei 45 giorni passati in un limbo in cui si sente “non abbastanza vivo per i vivi, non abbastanza morto per i morti”, Piergiorgio vive l’esperienza del suo personale viaggio agli inferi, successivamente descritta in memorabili pagine del romanzo postumo Ocean terminal (a cura di Francesco Lioce, Castelvecchi editore, 2009) Circondato dalla morte in azione, lucido, soggetto all’arbitrio di mani professionali, totalmente isolato dal mondo, Piergiorgio inizia a concepire l’idea di scrivere un libro che racconti la storia della sua vita. Tornato a casa comincia la stesura di questo romanzo autobiografico.
Il 2002 è l’anno in cui scrive più assiduamente ed è anche l’anno in cui inizia a interessarsi alle problematiche del fine vita e a legarsi alle lotte etico-politiche dell’Associazione Luca Coscioni, di cui diventa vicepresidente.
Lavora al romanzo fino al 2006, anno in cui è ormai ridotto a letto, respira col ventilatore polmonare, si nutre di un alimento artificiale, non riesce più a scrivere e parla con l’ausilio di un computer. Affida quindi i suoi scritti alla moglie e al nipote Francesco Lioce.
Pur privato di gran parte delle sue facoltà vitali, ma deciso a portare avanti la sua battaglia per l’autodeterminazione del malato, a settembre lancia un appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere l’eutanasia. L’appello viene trasmesso dai notiziari di molti paesi europei e arriva anche negli Stati Uniti.
Nel mese di novembre esce il suo libro Lasciatemi morire per Rizzoli, un vero e proprio esperimento letterario che attraversa vari generi, dalla poesia alla narrativa, al saggio politico-filosofico-scientifico, ma un libro che è anche un’analisi impietosa e umanissima delle condizioni del malato da un punto di vista legale, medico ed etico.
Dopo innumerevoli rifiuti, la richiesta di Welby viene infine ascoltata da un medico bioeticista di Cremona, il Dottor Mario Riccio, che in pieno accordo con la visione etica del paziente e rispettoso delle scelte consapevoli di quest’ultimo, interviene per liberare Piergiorgio da quello che, dato anche l’incessante progredire della malattia, non è che un inutile accanimento terapeutico.
La sera del 20 dicembre 2006 con un atto di desistenza terapeutica pubblica, Piergiorgio Welby, assistito dal Dottor Mario Riccio e alla presenza della moglie Mina, della sorella Carla, di Marco Pannella, Rita Bernardini e Marco Cappato del Partito Radicale, coerentemente con le sue dichiarazioni e con le sue battaglie, decide di andarsene serenamente e in piena coscienza.
Nonostante fosse di famiglia cattolica, il Vicariato di Roma non ha concesso a Welby la funzione secondo il rito religioso come nei desideri della moglie e della madre. Il 24 dicembre 2006, in Piazza Don Bosco, di fronte a un migliaio di presenti, viene celebrato il funerale laico di Piergiorgio Welby, proprio di fronte alla chiesa che i familiari avevano scelto per la cerimonia religiosa.