Sinossi *:
I primi liuxuesheng italiani
Oggi la Cina è sulla bocca di tutti, ogni grande città italiana ha un dipartimento di cinese e partire per l’Asia non sembra più un viaggio impossibile.
Ma fino a pochi anni fa non era così.
Negli anni Cinquanta un gruppo di pionieri si avventurò nell’Impero di Mezzo per decifrarne un po’ di cultura e riportarne la fiammella in Europa.
Perché mai dei ventenni si lanciarono in esperienze di questo tipo in lande allora così distanti ? Cosa li spingeva?
Ogni orientalista nasconde storie pazzesche - e i sinologi italiani non sono da meno.
Jacques Pimpaneau saltò sull’Orient Express per aprire una galleria d’arte contemporanea francese in piena Beijing, finì per innamorarsi dell’Opera di Pechino e ad acquistare dischi ad Hong Kong. Correva l'anno 1947. Oggi è tra i più grandi sinologi di Francia e la sua collezione è esposta permanentemente in un palazzo di Lisbona.
Chi non ha seguito con i figli almeno una puntata della saga animata di Dragon Ball? Il cartone è giapponese, ma affonda le proprie radici in un romanzo cinese, tradotto negli anni Trenta da Arthur Waley, grande sinologo inglese nonché bibliotecario del British Museum. Waley però non andò mai in Cina: i suoi rimasero viaggi solo della mente. Tornò comunque utile ai servizi segreti per decifrare i messaggi dei Giapponesi durante la seconda guerra mondiale.
Proprio così: gran parte degli orientalisti del Novecento furono anche spie per i rispettivi Paesi, una specie di Lawrence d'Arabia...d'Oriente.
Robert van Gulik venne spedito nella Cina fra le due guerre dal governo olandese. Il raggio dei suoi interessi è stupefacente: si occupò di storia dell'arte orientale, di allevamento dei gibboni, di storia della sessualità in Cina e trovò pure il tempo di fare la spia in Egitto. Cultore del teatro delle ombre indonesiano, a Chongqing avreste potuto incrociarlo con una scimmia abbarbicata sulla spalla. Molti lo conoscono però come l'autore dei gialli del giudice Di, divenuti recentemente anche caso cinematografico.
E gli orientalisti italiani? Non sono certo da meno:
Renata Pisu diede a suo fratello Silverio l'idea di sceneggiare l'adattamento per il fumetto de Lo scimmiotto per le matite fatate di Milo Manara; Magda Abbiati mollò Venezia in pieno Sessantotto inseguendo il sogno maoista.
Alessandra Lavagnino si innamorò della Cina perché il padre era il compositore delle musiche del primo documentario italiano sulla Repubblica popolare. Ben prima di Antonioni: il regista era Carlo Lizzani, che dalla Cina portava alla bambina Alessandra giochi e storie che la facevano sognare. Oggi Alessandra Lavagnino è la sinologa di punta dell'Università di Milano.
E così Bertuccioli e sua moglie, principessa cinese decaduta;
Enrica Collotti Pischel, Edoarda Masi e Cristina Pisciotta.
Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta una manciata di Europei ogni anno riusciva ad entrare nella Cina comunista come studente universitario. Vivevano in campus, a stretto contatto con i coetanei cinesi, condividendone la vita di ogni giorno.
Un baule di storie, fotografie, souvenir, romanzi, poesie, per raccontare, attraverso il prisma di un viaggio verso il Far East, un'Italia che non c'è più. O che c'è ancora?
Nella convinzione che ascoltare la loro esperienza possa aiutarci a capire meglio anche la Cina di oggi.


Aiuto regista:
Luca Cenname

Produttore:
Sergio Basso

Produttore Esecutivo:
Sergio Basso

TRAILER



ULTIME NOTIZIE