Sinossi *: Il Rione Medea è un quartiere in cui ogni stagione è simile alle altre e i cambiamenti sembrano non incidere sul profilo delle pietre. In questo quartiere si entra lentamente, perché la macchina da presa del regista vive il tempo come una deformazione del sentimento.
Tra questi palazzoni costruiti in una terra dove tutto è destinato ad essere distrutto (da qui non a caso la scelta della figura di Medea) troviamo destini che si sfiorano senza intrecciarsi mai, famiglie che osserviamo da lontano senza aver la pretesa di conoscerle davvero.
Pochi minuti di pellicola per capire che in questa “zona di svago e relax” non conta solo ciò che si dice, ma quello che non si dice, non conta solo ciò che possiamo vedere, ma anche tutto ciò che il regista Mauro Di Rosa ci permette di immaginare.
Le vite di ogni singolo personaggio nascondono un segreto che, paradossalmente, è visibile sui loro volti, quasi non esistesse nulla di più profondo della superficie.
Al Rione Medea, c’è che non si è stancato di camminare e cambiare strada, ma ovviamente i diversi non sono visti di buon occhio perché chi abita qui da sempre non fa altro che ricordare il passato e immaginare un futuro che resta sempre futuro. Al Rione Medea non c’è spazio per chi cerca di fare la differenza.
Il nostro giro nel quartiere continua con persone comuni che però non si accontentano di vivere passivamente l’attimo che se ne va. E così, ecco che oltre a Michele, giornalista che crede davvero nel suo mestiere, troviamo Lello, un garzone innamorato di Francesca, brillante studentessa universitaria. L’amore può superare un divario sociale e culturale così netto? Lello riuscirà a trovare parole adatte a una ragazza così lontana dal suo mondo che si svolge 15 ore al giorno all’interno di una salumeria?
I personaggi del rione, Di Rosa li cerca e trova anche ai margini della periferia. Qui un super papà (immagine speculare alla figura dei genitori di Michele) che primitivamente torna al lavoro delle mani per cercare di salvare la sua famiglia. Un super papà che va a lavorare nei campi alle quattro del mattino e giorno dopo giorno compie silenziose rivoluzioni.
Il resto, tutto ciò che ancora c’è va visto: dialoghi essenziali nel corto, parole che restano identiche per tutta la durata del corto ma che cambiano significato.
“Figli di Medea” racconta la storia di un peccato originale che tutti gli abitanti del quartiere Medea si sono assunti solo per il fatto di essere nati lì, la storia di zone d’ombra e silenzi che avvolge i personaggi così come accade a ognuno di noi. Sullo schermo riferimenti casuali a una vita concreta che ci attanaglia: tutto è preso dalla realtà, la macchina da presa del regista filma una realtà che non riesce a lasciarci indifferenti.
In questo non luogo, a metà tra un carcere senza sbarre e un labirinto senza mura, un filo invisibile lega tante storie: il sentimento della speranza che, come dice il protagonista Michele all’inizio del corto è “l’ultimo eroe prima della rassegnazione”.
Note:
Realizzato in collaborazione con i DeMurofotografia Service, HM Make up Italy e Circus Studios, e con il Centro Studi "San Marco" di Pozzuoli.