Fondazione Fare Cinema
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Simone Pinchiorri  (09/05/2007 @ 22:24)
"Voce del Verbo Amore" di Andrea Manni si propone allo spettatore come un film sull'amore e come ultimamente avviene nelle pellicole italiane che cercano di affrontare questo tema non esce dai soliti canovacci di banalitŕ e luoghi comuni. E' uno di quei film che Gianluca Arcopinto definirebbe fatti apposta per poi poter passare in prima serata sulle reti televisive nazionali, uno di quei film pieni di buoni propositi e litigi "forzati" che si avvicinano molto al modello televisivo imposto dalla fiction, dai reality show, dai programmi trash che inondano i palinsesti. Non a caso tra gli sceneggiatori ritroviamo uno dei "vate", anzi, forse colui che ha proprio inventato ed imposto questo tipo di TV. La pellicola č anche mal recitata. Pasotti e la Rocca sembrano le controfigure di loro stessi, posti a recitare una parte che forse non gli appartiene. I dialoghi sono molto approssimativi, le frasi dette sembrano quelle scritte sui baci perugina o sui fotoromanzi. Il film non riesce nemmeno a far ridere lo spettatore, ad essere comico. E' tutto molto scontato come approssimativo, a tratti irreale e patinato come le immagini di sfondo riempite dai luoghi culto della capitale. Sono tutti belli e ricchi alla "beautiful", con solo il problema di sistemarsi sentimentalmente. "Maschio, etero, libero. E' roba da WWF" dice Cecilia Dazzi, che interpreta la parte dell'amica di Stefania Rocca, ad un certo punto del film, unico personaggio un po' credibile della pellicola. Gli autori hanno inserito anche la trovata del "supermaket dei single" luogo quasi al limite dell'immaginario, dove le persone oltre a fare la normale spesa andrebbero per riempire il loro carrello vuoto "rimorchiando" una donna o un uomo! Proprio questa parte del film mette ancora piů in risalto il distacco dalla realtŕ. Non č questa presentata da "Voce del Verbo Amore" la vita quotidiana, non č quello presentato da "Voce del Verbo Amore" la realtŕ cinematografica italiana. Questo tipo di commedia č bene lasciarla fare agli anglossassoni, visto che ha loro piace e sanno, forse, farla meglio che noi...
Riccardo Lascialfari  (23/04/2007 @ 18:17)
E poi dicono che dovremmo imitare gli americani, che da noi manca una vera e propria tradizione di commedia romantica, “come quelle con Hugh Grant protagonista”, ha precisato Stefania Rocca in conferenza stampa all’anteprima milanese del film. Bč, se il risultato deve essere quello di “Voce del Verbo Amore” meglio continuare ad assistere ai bamboleggiamenti di Hugh Grant che vedere un Giorgio Pasotti (Ugo) al minimo delle sue capacitŕ espressive oppure una Stefania Rocca (Francesca) che gioca a fare l’isterica senza mai dare al ruolo una parvenza di credibilitŕ. Scritto (anche) da Maurizio Costanzo, e girato da Andrea Manni, “Voce del Verbo Amore” vorrebbe difendere la tesi che le coppie in crisi tendono a separarsi troppo in fretta e che l’amore Ë sentimento aggrovigliato e incomprensibile, capace di giocare brutti scherzi. Compreso quello di far separare una coppia di sposini giovani e attraenti (come li si vede nei titoli di testa, intervallati da simpatiche immagini amatoriali e altre girate con la tecnica della “stop-motion”), salvo poi condurli alla ricongiunzione finale. Non prima di aver compiuto il rituale passaggio intermedio fatto di gelosie improvvise, litigi sulla gestione dei figli, tentativi nevrotici di adulterio che franano miseramente (Francesca tenta addirittura di sedurre un ex fidanzato ma scopre che, nel frattempo, questi Ë diventato gay!). Eppure le buone intenzioni ci sarebbero tutte. Peccato che a scricchiolare sia non solo la sceneggiatura (sono lontani i tempi di quando Costanzo collaborava alla scrittura di “Una Giornata Particolare”) ma anche e soprattutto la messa in scena. Una Roma da cartolina (il Colosseo sempre sullo sfondo, la terrazza del Pincio, la Galleria di Arte Moderna, la Piramide) fa da contrappunto visivo a ogni sequenza di dialogo, a ogni camera car, a ogni totale. Davvero troppo. Ma Ë il concatenarsi degli eventi e del plot a sfiorare in piů punti la pura commedia da vaudeville, spesso abborracciata. Con l’introduzione di sub-plot ai limiti delle sgrammaticature tipiche dell’esordiente: Gioia (Cecilia Dazzi), l’amica di Francesca che sogna il principe azzurro, il padre di Ugo, playboy attempato che spilla quattrini al figlio per poter mantenere la giovane fidanzata straniera, il cameo di Simona Marchini, che interpreta la madre di Ugo, suocera di Francesca. Qui – anche se Ë diventato un luogo comune sottolinearlo - siamo alla pura fiction televisiva, se non peggio: dialoghi convenzionali, situazioni tirate per le lunghe dove la pellicola gira a vuoto, equivoci telefonati, svolte narrative inverosimili (si pensi ai malintesi con la colf ucraina oppure a Goia che viene investita col motorino dal suo principe azzurro e futuro marito: dolorante a terra, Ë sufficiente che incontri il suo sguardo da baci perugina perchČ tutto passi…e fiorisca l’amore, ndr!!). E ci sarebbe molto altro da segnalare. Al confronto, gli imprevisti o le situazioni rocambolesche delle commedie romantiche con con Hugh Grant sembrano uscite direttamente dalla testa di Ingmar Bergman.

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