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LA VITA CHE NON CIE - Tre corti, un documentarioSinossi *: Un bambino di cinque anni che si ostina a chiedere alla mamma dov'è finito papà e perché non torna più a casa. Le mani di un ragazzo innamorato che tremano scosse dalla rabbia in una gabbia, un attimo prima della rivolta. E il limbo di un uomo che da ex prigioniero si prende cura degli amici ancora dietro le sbarre, contando i giorni che mancano alla loro uscita. Sono le storie di Kabbour, Nizar e Abderrahim. Tre nomi per raccontare le vite che stanno dietro alle statistiche della macchina delle espulsioni. Così la regista Alexandra D'Onofrio prova a ribaltare l'estetica della frontiera. Affinché i numeri del Viminale tornino a essere uomini e donne in carne e ossa. Con una storia che va oltre il Cie, che ha un prima e un dopo, un dentro e un fuori la gabbia. E con un dato universale, che sia l'amore, la paternità o la solitudine, in cui tutti noi ci possiamo identificare per avere la certezza che nel 2012 viaggiare non è e non può essere un reato.
Note:
Il progetto La Vita che non CIE è formato dai seguenti tre corti:
L'amore ai tempi della frontiera (20')
Facciamo sempre di tutto per frapporre distanze incolmabili tra un “noi” e un “loro”. Fuggono dalla fame, dalla guerra, dalla disperazione. Sono profughi, rifugiati, clandestini. E così finisce che non pensiamo mai alle cose normali. Al desiderio, alla follia della gioventù, al gusto dell'avventura e perché no all'amore. Chi l'avrebbe detto, ad esempio, che dietro alla più violenta rivolta del centro di identificazione e espulsione di Chinisia, a Trapani, ci fosse una bellissima e commovente storia d'amore? Noi ci siamo arrivati un po' per caso. E abbiamo deciso di seguire la storia fino in fondo e di farci un film. Con un registratore audio, una macchina fotografica e l'archivio dei video girati con il cellulare da Winny e Nizar, i due protagonisti del film.
La fortuna mi salverà (18')
A Torino il centro di identificazione e espulsione (Cie) non passa inosservato. É piantato in mezzo a un perimetro di condomini. Centinaia di torinesi ogni mattina si affacciano dai loro balconi sulle gabbie e maledicono il giorno in cui la prigione ha rovinato la reputazione del quartiere. Abderrahim sui balconi invece ci sale per salutare dall'alto gli ex compagni di cella. Dopo essersi fatto cinque mesi al Cie, gli sono rimasti più amici dentro che fuori. E per loro cerca di fare il possibile. Li intervista dai microfoni di una radio locale, gli porta la spesa, partecipa ai presidi contro il Cie. Nella speranza che non vengano espulsi, ma che come Amir, Hassan e Mahmoud siano rilasciati, aspettando tempi migliori.
Papà non torna più (15')
Bogusha non sa come spiegare al piccolo Tareq che suo padre non tornerà più a casa. Così ha deciso di portarlo a Casablanca, per farli almeno stare un po' insieme. Kabbour li porta in giro nel suo quartiere. Qui ha passato l'infanzia, eppure oggi in quelle strade si sente straniero. E vuole tornare a casa. A casa sua, in Abruzzo, dove è arrivato che aveva solo 11 anni. È lì che ha studiato, ha lavorato, si è sposato e ha avuto il bambino. Ed è lì che viveva fino a quando i carabinieri sono andati a prenderlo a casa per rimpatriarlo in Marocco. Con in tasca un foglio di carta che in nome della legge italiana gli vieta di vivere con la sua famiglia.