Incontro sul film "Il Vento fa il suo Giro" (Firenze, 04/07/2007)
In quante settimane sono avvenute le riprese e come è stato prodotto il film "Il Vento fa il suo Giro"?
Simone Bachini: Le riprese del film sono durate dodici settimane. La prima parte è stata girata nel mese di dicembre, la seconda in estate e la terza in ottobre. Devo dire che questa frammentazione è servita anche per trovare nei vari mesi di pausa i fondi per poter continuare le riprese. In tutto la pellicola è costata 440.000 euro, tutta finanziata dalla produzione e da alcune associazioni locali, in quanto non siamo riusciti ad avere un fondo da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Per quel che riguarda la produzione, gli stessi attori hanno compartecipato alla realizzazione del film, versando dei proventi che gli saranno restituiti tramite gli incassi dei film al botteghino. La pellicola sarà anche distribuita in Francia e continuerà in questo periodo il suo "tour" per le sale italiane.
Le persone del luogo sono veramente come vengono descritte nel film?
Ines Cavalcanti: Sono di quel paese che si vede all'inizio del film dove la strada si inerpica, che si chiama Elva. E' un paese a 1.550m ed ho abitato lì fino a dieci anni. Conosco bene la mentalità della postina, che è una delle componenti della coesione sociale del paese. Quest'ultima a due facce: una interessante e positiva e l'altra crudele che tende ad emarginare le persona. Mia madre era una persona che sfuggiva abbastanza alle regole della società, quindi ho vista questa crudeltà su di lei finchè siamo rimasti ad Elva. Poi ce ne siamo andati e per lei è stato molto difficile riconciliarsi con quella mentalità. Io ho fatto un percorso diverso, perchè interessandomi della questione occitana ho visto altre cose, che questa etnia arrivava fino ai Pirenei e che la mia lingua andava fino all'atlantico e che faceva parte della cultura europea: ho visto tutta un'altra faccia della medaglia. Quando mi hanno chiesto di recitare in questo film l'ho fatto per spirito di bandiera. Non sono un'attrice, non ho mai recititato e sinceramente quando mi hanno chiesto di fare questa piccolissima parte ho pensato che in due giorni me la sarei cavata. Invece, poi, non è stato così. Ho passato parecchie giornate a fare sempre le stesse cose che non andavano mai bene. Quando iniziava una scena mi dicevano sempre che andava bene e quindi pensavo "ora me ne posso andare a casa". Invece, veniva rifatta cento volte, quindi forse non andava bene come mi dicevano! E stata un'esperienza interessante, perchè per essere vero in un film è un po' come nella vita, sideve rifare tante volte la scena in modo tale che si riesca veramente ad immedesimarsi nel ruolo.
Quali sono state le reazioni della popolazioni delle valli all'uscita del film?
Dario Anghilante: Questa domanda ce la siamo chiesta quando abbiamo letto il copione, perchè aveva un tratto molto duro. Io mi sono occupato anche della perte linguistica del film, mettendo a punto anche le battute in occitano in modo tale che fossero comprensibili a tutti. Siamo molto soddisfatti da come ha reagito la gente, perchè da quello che sentiamo nelle valli, dopo il passaggio del film in cinema importanti da Cuneo a Saluzzo, è positivo è ci sono state code ai botteghini tanto che calcune persone che dopo un mese di programmazione non sono ancora riuscite a vedere il film. Le gente ha capito che se c'è una certa realtà bisogna renderse conto. Questo isolamento è soprattutto dovuto all'egoismo. Sono egoisti soprattutto quelli che hanno abbandonato il paese e vengono su ne weekend e vogliono trovare tutto immutato e vogliono, anche, che tutti non riescono a fare ciò che loro non hanno fatto, cioè rimanere lì e cambiare le cose. Per ora le persone l'hanno presa bene e dicono "
che bel film!". E' probabile, poi, che qualcuno dietro l'angolo dica anche "
caspita, potevano farci vedere un po' più buoni!".
Simone Bachini: All'inizio il cast del persone del luogo non aveva capito bene la differenza tra ciò che stavamo producendo, un film, o se fosse un documentario sulla zona. La prima proiezione è stata fatta solo per coloro che avevano preso parte alle riprese. Io avevo una "strizza" terribile, perchè solo il 5% delle persone sapeva bene di cosa si trattava. Avevo una paura "ottusa", perchè era un momento importante per la produzione, anche perchè ritenevamo che il film prima di uscire doveva eseere condiviso da chi l'aveva fatto, da coloro che ci avevavano dato la disponibilità di tempo, le case, gli animali. Alla fine della proiezione hanno commentato "
ci avete descritto anche troppo bene!".
Signora Agosti, ci può parlare della sua esperienza in questo film?
Alessandra Agosti: E' la mia seconda esperienza cinematografica. La prima era in un film muto. Questa esperienza non finisce più, continua ancora fino ad oggi. Stare in questa valle sperduta con persone sconosciute ed averla portata in giro vuol veramente dire che "il vento ha fatto il suo giro"! E' stata la riscoperta della semplicità, perchè avere un ruolo in un film, in una storia, in un dramma vuol dire trasformarsi, mentre io non mi sono trasformarta tanto anche se in alcuni tratti della pellicola forse si vede, perchè non sono ne un capraia ne una madre. Non sò e non saprò mai se veramente mi sono calata nella parte del personaggio che mi avevo chiesto di recitare, però sò che sono mi sono spogliata di ogni cosa che facevo prima e mi sono conosciuta meglio. Ho un carattere molto timido ed a volte ho dovuto madare via sul set le persone che mi stavano intorno. E' stata un'esperienza che mi ha fatto conoscere anche gli altri e questa realtà della lingua "doc", che non conoscevo, pur abitando a Montpellier.
Avete fatto un film con i sottotitoli...
Simone Bachini: Questa scelta in Italia, dal punto di vista produttivo, è stato un bel rischio. Però abbiamo voluto mantenere le lingue originali e da come stà andando il film al botteghino non è stato un problema. Sono convito, inoltre, che il pubblico sia molto più inteligente di quello che Mediaset e RAI pensano. Loro non ne volevano sapere di un film con i sottotitoli da un punto di vista produttivo. La lingua è un personaggio, un personaggio importante del film. Non è la lingua che crea difficoltà di comunicazione. E' un personaggio importante in quanto il linguaggio ufficiale è l'italiano, una lingua che si usa per capirsi con tutti ma alla fine quella più sentita e vera, in famiglia, è l'occitano. Questa scelta è stata dura, ma era l'unica percorribile per creare il film... Mi sembrava ridicolo usare una lingua uniforme...
Il film si apre e si chiude con la stessa scena. Con una realtà che apre al turismo...
Dario Anghilante: Alla fine è una sconfitta, ma non una sconfitta perchè il turismo non c'è nelle nostre valli, ma perchè ce nè troppo. Il sindaco voleva riscattare il paese tramite l'insediamento di una famiglia giovane. Non bisogna pensare che chi vive nel nord, abiti nella ricca Pianura Padana, a Torino, a Milano. Abbiamo dei casi di spospolamento da paura. I dati del meridione sono meravigliosi rispetto ai nostri. Ines viene da un paese che aveva 1.600 abitanti ed ora ne ha ottanta, il paese in cui è ambientata la storia ha ora nove abitanti contro i 1.000 di prima. abbiamo uno spopolamento spaventoso. Abbiamo valli distrutte da condomini, alberghi, palazzi utilizzati solo dai turisti, ma questo non è il segno della rinascita di un paese. La Valle Maia, dove è situato Cherogno, il paese dove è ambienato il film, ha sviluppato un turismo a misura d'uomo, basato sull'altura, cultura, arte. Abbiamo delle chiese romaniche meravigliose. Negli anni'60-'70 nelle altre valli sono stati costruiti dei palazzi di 8-10 piani modello città, che restano vuoti per otto-dieci mesi l'anno. Sono cattedrali nel deserto... Da noi non mancano le strutture, manca un turismo che vuole godersi l'arte, la cultura la lingua... Nelle nostre zone mancano le scuole ed il telefono a volte non funziona, internet non ne parliamo nemmeno. Non ci sono dei servizi che coprono il 95% del territorio nazionale e quindi è difficile ripopolare i nostri territori.
Il film tratta diversi temi, uno di questi il rapporto tra l'individuo e la comunità. La comunità oggi molto spesso è portata come rimedio all'individualismo occidantale. Il film mostra come la collettività sia un modello di fallimento verso le derive individualistiche. Siete d'accordo?
Ines Cavalcanti: Non sono d'accordo sul suo pessimismo. Nella nostra zona c'era una comunità che si è sfaldata prima per le guerre, poi perchè la nostra gente è servita per andare a lavorare nelle fabbriche come la Fiat o la Michelin. Nonostante questo è rimasta la volontà di fa rivivere il paese, perchè quando c'è la scena che Philippe (
n.d.r. interpretato da Thierry Toscan) arriva nel paese, la gente lo ha accolto con le fiaccole e si sono messi a disposizione, come noi ci siamo messi a disposizione per il film. Però il problema è che manca una politica del territorio che medi tra la memoria del passato e il presente. Solo così si può far nascere una nuova comunità tra gli autoctoni e i reinsediati. Ci sono nel film delle scene molto interessanti, come quando Philippe dice "io qui non vedo nessuno, quindi i terreni sono tutti abbandonati e quindi le mie capre ci possono pascolare". Questo dimostra poca sensibilità da parte sua, perchè non è vero che quei terreni sono abbandonati, ma sono stati lavorati con una fatica enorme per generazioni. Quindi lui non ha rispetto per le persone ed anche lui ha le sue colpe. Ritornando alla domanda è giusto oggigiorno che ci sia l'individualismo, perchè abbiamo chiuso la stagione dei grandi movimenti di massa...
06/07/2007
Simone Pinchiorri