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Filmaker DOC Film Festival: report 26 NOVEMBRE 2006


In concorso due opere significative che affrontano il tema della terra, delle radici e dell’ abitare il proprio tempo e la propria casa. Una riflessione sul come vivere il proprio habitat e farne una patria intima e collettiva.


Filmaker DOC Film Festival: report 26 NOVEMBRE 2006
“House and Desert” di Anna Faroqhi
Tra i Film in Concorso alla 27 Edizione di Filmmaker, “House and Desert” di Anna Faroqhi e “Klingenhof” (Il mio cortile) di Beatrice Michel. Il primo mediometraggio getta luce sulla difficile questione abitativa e architettonica delle terre d’Israele, da sempre in conflitto con le confinanti popolazioni arabe. Dai container in cui vivono ammassati gli ebrei russi giunti sulle colline di Gerusalemme agli inizi degli anni ’90, ai kibbutz vicino ad Haifa, dagli sperduti villaggi beduini alle case a schiera con i tetti rossi dei nuovi coloni: Anna Faroqi, guidata una morbida voce off, ci mostra in che modo un popolo si lega alle proprie radici, ricerca una propria identità anche e soprattutto tracciando i propri confini spaziali rispetto all’Altro. Bellissime le immagini di Tel Aviv e degli agglomerati urbani circostanti che la regista inquadra in maniera seriale, quasi come un catalogo di fotografie che restituiscono il senso del tempo (ben evidenziato dall’erosione dei terrazzi e dei muri aggrediti dalla salsedine del mare poco distante). La storia degli edifici e degli stili architettonici utilizzati, unito a uno sguardo molto discreto che illustra usi e costumi delle famiglie che abitano quei luoghi, rende “House and Desert” un documentario prezioso e originale. La cultura delle proprie radici e la necessità biologica di “sentirsi a casa” ci vengono mostrate come forze propulsive e difficilmente contrastabili. Nessuna legge del governo, nessun conflitto militare può negare questa spinta innata nell’uomo. Si tratta solo di gestirla e amministrarla nel miglior modo possibile, affinché ciascuno, all’interno di quattro mura, trovi la sua “Heimat”.
Anche Beatrice Michel, in “Klingenhof” si muove su un crinale simile a quello messo in scena da Anna Faroqi, ma con risvolti e accenti decisamente più autobiografici e intimistici (il documentario si apre con una bella frase del nostro Claudio Magris: «Ogni luogo può essere il centro della terra» ).
Siamo in un quartiere di Zurigo, denominato Kreis 5 e senza particolari obiettivi di partenza, la Michel comincia a filmare l’habitat che circonda il suo appartamento: il cortile dove alcuni ragazzi giocano a basket, le panchine del giardino, le case circostanti, il chiosco che vende un po’ di tutto, il netturbino chiacchierone.
Beatrice Michel, presente in sala prima della proiezione, ha confessato che uno scopo ce l’aveva eccome firmando questo documentario insieme al compagno Hans Stürm (venuto poi a mancare pochi giorni prima della conclusione, ndr!): fornire un’immagine diversa della città di Zurigo, perennemente associata a banche, denaro, finanza e spesso anche alla droga. Va detto che la Michel raggiunge il suo scopo in maniera magistrale, creando un mondo e facendocelo amare. I vicini di casa vengono seguiti e ripresi nello loro occupazioni quotidiane, i molti immigrati (kurdi, zingari, bosniaci, italiani, cinesi), raccontano la loro storia e spiegano in che modo sono arrivati a Zurigo e hanno deciso di vivere proprio lì, nel cortile Kreis 5. Tutto ciò mentre le stagioni si succedono, qualcuno muore, un bambino nasce, la vita fa insomma il suo corso. Il documentario di Beatrice Michel fa pensare a quella frase di Tolstoj sulla necessità di essere provinciali, per diventare universali. Lo spettatore esce dalla sala con la promettente sensazione che ciò lo circonda – un vicino di casa poco simpatico, il vecchio silenzioso a cui non abbiamo mai osato rivolgere un saluto ecc – racchiudono in realtà il mondo intero. E il mondo intero non è che il nostro cortile. Del quale facciamo parte.

27/11/2006

Riccardo Lascialfari